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Un piano Marshall 2.0 per rinnovare il modo di pensare al lavoro

Gli effetti che la pandemia ha avuto sulla nostra quotidianità si notano, soprattutto, nei profondi cambiamenti subiti dal mondo del lavoro nel corso degli ultimi due anni

di Gabriele Fava

(Halfpoint - stock.adobe.com)

4' di lettura

Gli effetti che la pandemia ha avuto sulla nostra quotidianità si notano, soprattutto, nei profondi cambiamenti subiti dal mondo del lavoro nel corso degli ultimi due anni. In particolare, i periodi di costrizione domestica e i conseguenti cambiamenti dell’economia e delle scelte dei consumatori hanno favorito lo sviluppo di nuovi e diversi settori. Tale dinamismo, tuttavia, si è scontrato con la staticità delle istituzioni, le quali – per il momento – non sono ancora riuscite ad anticipare le nuove esigenze del mercato del lavoro.

Per evitare, allora, di dover rincorrere costantemente le opportunità che emergeranno grazie al nuovo assetto del mercato del lavoro, sarà necessario che si intervenga con anticipo in tutti i settori coinvolti
dal fenomeno evolutivo. Un vero e proprio piano Marshall 2.0. che, con interventi sapienti e mirati, sappia andare incontro alle necessità del mercato del lavoro di oggi e di domani.

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In quest’ottica, diviene necessario riorganizzare le risorse pubbliche, trasformando le politiche passive del lavoro - in primis il Reddito di Cittadinanza - in occasioni di crescita per il mercato stesso. In particolare, gli strumenti di integrazione al reddito andranno rimodulati e utilizzati per stimolare una crescita che, ad oggi, non è mai stata raggiunta. Ciò potrebbe essere raggiunto, come recentemente proposto dalla maggioranza parlamentare uscita dalle elezioni, tramite l’introduzione di un Reddito di Solidarietà rivolto ai nuclei familiari con soggetti non abili al lavoro quali anziani, portatori di handicap e minori, affiancato ad una rimodulazione del Reddito di Cittadinanza che limiti la possibilità per il percettore di rifiutare più di una proposta di lavoro formulatagli.

Il mercato del lavoro di domani, allora, non potrà che basarsi sulle competenze possedute dalla forza lavoro: competenze che andranno coltivate e trasmesse ai lavoratori attraverso l’attuazione di un vero e proprio “piano per la formazione continua”, destinato a trasformare il Reddito di Cittadinanza in una manovra formativa dei lavoratori. Ciò, in concreto, sarà possibile tramite una stretta cooperazione tra le parti sociali e un coordinamento tra il Ministero del Lavoro, le Regioni e i fondi interprofessionali. Occorrerà, quindi, concentrare le energie nell’istituire piani volti ad accrescere e adeguare le competenze di chi è attualmente all’interno del mondo del lavoro, tramite reskilling e upskilling, al fine di ridurre ed anticipare le ricadute che l’innovazione tecnologica può avere sugli attuali livelli occupazionali. Conseguentemente, andrebbe istituito un sistema nazionale di “bollinatura” autorevole delle competenze acquisite dalla forza lavoro che possa fungere da elemento distintivo del mercato del lavoro italiano. In questo modo, andrebbe concepita una “patente delle competenze”, volta a favorire la rapida assunzione (o riassunzione) della forza lavoro: permettendo ad ogni datore di lavoro di conoscere in maniera certa le competenze possedute da ciascun candidato.

Ancora, sarà necessaria una decisa spinta del c.d. sistema duale, ossia rendere strutturale una metodologia di apprendimento che comporti una forte integrazione tra formazione e lavoro tramite l’utilizzo del contratto di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale. Solo un sistema che si basi fortemente sul concetto di “imparare lavorando” potrà garantire ai nostri giovani una formazione che riesca a collocarli con velocità e qualità nel mondo del lavoro.

Inoltre, in ottica di un complessivo sviluppo del mercato del lavoro, anche la silver economy potrà essere un’inedita occasione di crescita con cospicui vantaggi sia sulla popolazione più adulta sia su quella più giovane. L’innovativa portata del sistema economico in esame, infatti, condurrebbe, stando a uno studio svolto dalla Commissione europea, a un incremento del fatturato pari a 6,4 miliardi di euro nei settori di competenza e dell’occupazione per circa 88 milioni di lavoratori all’interno dell’Unione.

Ulteriore elemento che dovrà essere oggetto di sapienti interventi in futuro è quello dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Occorre riorganizzare l’intero sistema dell’orientamento al lavoro sulla base di vere e proprie partnership pubblico-privato, puntando sul finanziamento ed il sostegno alla rete delle Agenzia per il Lavoro (ApL) già presente nel nostro Paese e da anni attiva con ottimi risultati nei servizi al lavoro, invece che al continuo dispendio di risorse pubbliche in un sistema incentrato unicamente sui Centri per l’Impiego (CpI) che negli anni ha dimostrato di non funzionare a dovere. Solo un meccanismo integrato tra CpI e ApL sarà in grado di garantire capillarità, varietà di servizi offerti e tenuta economica del sistema.

Ancora, è lecito aspettarsi una serie di interventi sul contratto a tempo determinato e sulla somministrazione di manodopera volti a superare il c.d. Decreto Dignità. Tale Decreto, nell’intento di limitare il fenomeno del precariato, ha, tuttavia, ridotto la flessibilità di cui le imprese necessitano, a maggior ragione in una congiuntura economica caratterizzata da continui e pervasivi mutamenti. Occorre, allora, ritrovare un sano equilibrio tra le esigenze di stabilità lavorativa dei dipendenti e la flessibilità in entrata ed in uscita di cui le imprese necessitano per affrontare le congiunture presenti e future.

Sarà, poi, necessario intervenire sul costo del lavoro agevolando le imprese e riducendo il cuneo fiscale che schiaccia sempre più la crescita del mercato del lavoro. Non si può prescindere, infatti, da un sistema fiscale e contributivo al passo coi tempi che contribuisca a mantenere il costo del lavoro italiano competitivo rispetto ai principali competitor. Per raggiungere tale obiettivo, occorrerà intervenire sulle aliquote contributive attualmente vigenti in Italia così da ridurre proporzionalmente il costo del lavoro per le imprese. In un’ottica di “alleggerimento delle imprese”, allora, non si può ignorare come le stesse debbano essere aiutate non soltanto sul lato fiscale/contributivo, ma anche sul fronte burocratico attraverso una importante semplificazione delle procedure.

Da ultimo, le prossime riforme del mercato del lavoro dovranno invertire il fenomeno migratorio delle imprese. Occorrerà non soltanto combattere la delocalizzazione, ma agire dal punto di vista del reshoring: operando per il rientro della migliore imprenditoria italiana “fuggita” all’estero. In conclusione, l’obiettivo finale sarà quello di garantire alle imprese il miglior ambiente in cui lavorare, per raggiungere, attraverso la loro crescita, un incremento del tasso di occupazione e un aumento generale del benessere dei cittadini.

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