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Permeati d’antico, l’eterno ritorno della classicità in mostra a Roma

Alle Terme di Diocleziano una mostra sontuosa ci accompagna nella classicità per spiegare la prospettiva culturale di cui siamo eredi

di Maria Luisa Colledani

Bellezza eterna. Restauro ad acquerello di «Ladies in Blue Fresco», di Émile Gilliéron père (1850-1924)

3' di lettura

È un istante infinito come l’eternità quello che la lava del Vesuvio nel 79 d.C. ha fermato nei due calchi in resina e gesso che aprono L’istante e l’eternità. Tra noi e gli antichi, mostra sontuosa alle Terme di Diocleziano di Roma, costruite fra 298 e 306 d.C. Sono due persone del I secolo che, dopo millenni, urlano ancora il loro dramma, e quell’istante terribile che li ha resi eterni.

L’ingresso nelle Grandi Aule, chiuse da anni, è monumentale. La luce del pomeriggio ammorbidisce le sculture, gonfia di tridimensionalità vasi e dipinti e questa verticalità antica è una porta aperta su ciò che siamo. La rassegna, ideata e curata da Massimo Osanna, Stéphane Verger, Maria Luisa Catoni e Demetrios Athanasoulis, ci accompagna nell’antico per spiegare la prospettiva storica, artistica, letteraria di cui siamo eredi, immersi in quel Mediterraneo che mai, come in queste Aule, è Mare Nostrum. Il rapporto con gli antichi è doppio: da una parte, l’infinito processo di trasmissione che è all’origine della nostra cultura fra eredità e interruzioni e, dall’altra, l’immedesimazione con un mondo lontano, così intimamente nostro. Noi siamo il treno della vita, con binari segnati: le parole, le linee antiche che, sartoriali, avvolgono il presente. Siamo permeati dall’antico ma, come sottolinea Massimo Osanna nel suo saggio contenuto nel catalogo, «in riferimento alla cultura greco-romana ovviamente non si può certo individuare un inesistente carattere suo proprio, statico, definito una volta per tutte, ma piuttosto i tratti dinamici di stili di vita, prodotto di un’interazione comunicativa tra uomini che si “reinventa” e rinegozia nel fluire del tempo, generazione dopo generazione. Del resto, sappiamo bene che le forme di identità sono dipendenti da circostanze contingenti, di continuo riformulabili». In mostra, questo rinnovarsi nei secoli è esemplificato dalla presenza di opere che superano l’età classica per fare riferimento all’epoca medievale, moderna e contemporanea.

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Il percorso

Il percorso espositivo, che si articola in cinque sezioni (L’eternità di un istante, La fama eterna degli eroi, L’ordine del kosmos, Le opere e i giorni, Umani divini), offre oltre 300 opere: molte sono nuove scoperte (il carro cerimoniale di Civita Giuliana e la statua di Ercole del Parco dell’Appia Antica), altre sono nuove acquisizioni (la Tabula Chigi del Museo Nazionale Romano), e tanti i capolavori di solito chiusi nei depositi dei musei d’Italia e della Grecia. Tante, troppe 300 opere? Sono un avvolgente viaggio attraverso la nostra coscienza culturale, e l’abbondanza diventa polifonia.

Il viaggio inizia dai due calchi, ritrovati nello scavo della villa di Civita Giuliana: sono arrivati a noi quasi a bordo dell’orologio di manifattura parigina di inizio Ottocento e di un altro della manifattura Lepaute della seconda metà del Settecento che ne scandiscono l’eternità. Dal tempo più remoto spuntano anche gli eroi della guerra fra Greci e Troiani, dall’Ulisse di Omero a quello di Kavafis. Zeus e Ganimede, Poseidone e Amimone cantano dai vasi della tomba di Policoro, così umani nella loro seduzione.

Leda e il cigno

Passando attraverso il mito di Leda e il cigno (di cui, da naturalista, Leonardo da Vinci decretò la fortuna nel Cinquecento) o i simboli orfici della Tomba di Metaponto, si arriva alla quotidianità. Le opere e i giorni degli antichi li rendono contemporanei: le loro case, l’eleganza delle danzatrici, il rilievo con la lotta dei gladiatori, la vita che pullula alla caupona di Salvius, a Pompei, il calendario mercatale, la stele da Atene del decreto contro la tirannide con la personificazione di Democrazia che incorona il popolo.

La vita, poi, è ricerca del divino con vista sull’eternità, culto degli dèi e decine di ex voto anatomici di ringraziamento. E restano tutti gli occhi che ci guardano nell’ultima aula: la kore di Santorini e la Madonna di Andrea Pisano sono divise da duemila anni, eppure sono lo stesso inno alla vita. Prima dell’uscita, le parole eterne della laminetta orfica di Thurii (Cosenza, IV secolo a.C.). Era una formula pronunciata all’ingresso dell’Ade: «Volai via dal doloroso ciclo grave d’affanni, e ascesi alla desiderata corona con piedi veloci; mi immersi nel grembo della Signora regina degli Inferi, discesi dalla desiderata corona con piedi veloci. – O felice e beatissimo, nume sarai, invece che mortale». Come noi, beati figli di questi sguardi.

L’istante e l’eternità. Tra noi e gli antichi, Roma, Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano, fino al 30 luglio

Catalogo Electa, pagg. 312, € 38 (in mostra, brossura), € 50

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