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Un quarto di secolo di stabilità senza sacrificare la crescita

La Bce soffia su 25 candeline. Occorre farle i complimenti: ha difeso la stabilità monetaria, senza sacrificare la crescita. Il dividendo dell’euro è stato positivo per tutta l’Area; il suo ammontare, per i singoli Paesi, è dipeso dall’efficacia delle altre politiche economiche.

di Donato Masciandaro

(Bloomberg)

3' di lettura

La Bce soffia su 25 candeline. Occorre farle i complimenti: ha difeso la stabilità monetaria, senza sacrificare la crescita. Il dividendo dell’euro è stato positivo per tutta l’Area; il suo ammontare, per i singoli Paesi, è dipeso dall’efficacia delle altre politiche economiche.

Come mostrarlo semplicemente? Le metriche che possiamo guardare sono tre: inflazione, prodotto interno lordo e quoziente di equità. Mentre i primi due indicatori non richiedono spiegazioni, il terzo forse sì: indica le variazioni relative tra crescita economica e inflazione. In altre parole, il quoziente di equità ci dice se la tutela della stabilità monetaria comporta dei costi reali netti in termini di crescita: più il quoziente è alto, più si riduce il rischio di costi da stabilità monetaria; più è basso e più sappiamo che la crescita economica può essere avvenuta anche mediante una redistribuzione del reddito occulta, attraverso una tassa inflazionistica.

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Il primo raffronto da fare è quello tra il ventennio dell’euro (1999- 2018) e i due ventenni precedenti: quello ante-euro (1978-1998) e quello che per semplicità chiameremo post-bellico (1956-1977). Concentrandoci sull’Italia e partendo dall’inflazione, il dato sale dai 714 punti base del periodo che va dal 1956 al 1977 ai 908 del periodo ante-euro, per poi cadere a 178 punti base nella stagione della moneta unica. La crescita economica scende progressivamente: 513, 228 e 44 punti base rispettivamente nei tre periodi. L’indice complessivo – il quoziente di equità – parte da 71 punti base nel periodo post-bellico, scende a 32 punti base negli anni ante-euro e risale nel ventennio post-1999 a 55 punti base.

Quindi cosa dire degli anni della moneta unica? L’analisi economica conferma che avere banche centrali indipendenti, come la Bce, riduce il rischio inflazione, senza effetti negativi netti sulla crescita economica. È quello che è accaduto nell’Area euro – dove il quoziente di equità dei primi due decenni di moneta unica è stato pari a 108 punti base – ma anche per l’Italia, con il suo quoziente equità uguale a 55 punti base.

Quello che occorre domandarsi è perché il guadagno netto per il nostro Paese è la metà di quello dell’Area euro nel suo complesso, anche se quasi il doppio rispetto al ventennio che ha preceduto l’unione monetaria. La risposta è in quello che una unione monetaria non può dare: la capacità di crescere – o di reagire a shock macroeconomici avversi – dipende dalle altre politiche economiche, quelle gestite dai governi nazionali, o da Bruxelles.

Chiarire la differenza tra quello che può e non può dare una unione monetaria è fondamentale per la percezione che dell’esperienza euro hanno i cittadini europei. Prendiamo gli italiani. Sulla base dell’analisi finora condotta, il loro gradimento dell’euro dovrebbe essere crescente, o almeno costante. Nel 1999 i guadagni erano solo attesi, oggi sono effettivi. Invece il consenso non è cresciuto come l’azione della Bce avrebbe meritato. La differenza tra fatti e percezioni può avere almeno due spiegazioni, non alternative. Da un lato, c’è un problema di educazione finanziaria: non apprezzo abbastanza l’esperienza euro perché non so cosa sia ragionevole aspettarsi da una unione monetaria, e cosa no. Dall’altro lato, può esserci un atteggiamento psicologico: attenzione selettiva, cioè tengo conto solo delle informazioni che mi piacciono. Per cui nel valutare l’esperienza euro dimentico i vantaggi ottenuti, e mi rammarico per l’impossibilità di gestire una politica monetaria nazionale, come se questa in passato fosse stata correlata con maggiori performance macroeconomiche. Oppure trascuro completamente il fatto che l’incapacità del Paese di crescere era iniziata ben prima del 1999.

In ogni caso, non c’è alcuna ragione per non fare i complimenti alla Bce, e augurarle di continuare a mostrare l’importanza di avere una banca centrale indipendente sia dal sistema politico sia da quello finanziario, ma allo stesso tempo guidata da banchieri centrali che si caratterizzino per comportamenti responsabili e trasparenti, gli unici che rafforzano sia l’efficacia della politica monetaria che l’indipendenza effettiva della stessa banca centrale.

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