ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIl ricordo

C’era una volta Cerruti, «Il Signor Nino» della moda italiana

Lo stilista e imprenditore morto a Biella a 91 anni nelle parole dell’ideatore della mostra a lui dedicata per la Fondazione Pitti Discovery

di Angelo Flaccavento

Addio allo stilista Nino Cerruti

2' di lettura

Non è buona norma invischiare la prima persona in un pubblico ricordo, ma Nino Cerruti, presidente del Lanificio F.lli Cerruti avventuratosi nella moda tra il 1967 e il 2001 - la chiamava, con sommo understatement, «escursione» - inventore del soft tailoring per lui e per lei, uomo dall’eleganza sottile e innata, leggenda autentica nel fashion system sempre più smemorato e incline agli entusiasmi farlocchi per le favolose nullità, ho avuto la ventura di conoscerlo di persona e anzi di lavorarci a fianco per alcuni mesi nel 2015, quando ho ideato e curato la mostra Il Signor Nino per la Fondazione Pitti Discovery.

Il gentleman e l’imprenditore

Ho visto all’opera il gentleman ma anche l’imprenditore dal piglio autorevole e autoritario. I numerosi screzi, nati dal confronto di opinioni sentite e argomentate, non hanno scalfito di un millimetro l’ammirazione. Semmai, hanno reso più vera la percezione, perché anche le leggende sono persone e non semidei. Impressa per sempre, insieme ai calzini verde pisello con l’abito grigio e alle camicie rigate portate rigorosamente senza cravatta, rimane la dedizione di Cerruti all’arte di vestire, che per lui era attività insieme personale e professionale, nella assoluta impossibilità di scindere le due cose. La mostra, per me, si concentrava infatti sul guardaroba del signor Nino; per lui era invece un modo per riassumere le diverse fasi dell’estetica Cerruti, cui devono molto in tanti, Giorgio Armani in primis.

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«Indosso solo quel che mi piace»

Quale che fosse il punto di vista corretto, c’è da dire che un uomo che in un intero piano dell’azienda di famiglia conservava decadi di abiti usati e mai gettati, non era certo comune. Era ed è anzi una rarità, invero da seguire: cinquant’anni di auto-conservazione vestimentaria sono un monumento epico al valore degli oggetti di moda, intesi come manufatti di valore invece che rapidamente deperibili. Dopo l’ultima collezione a marchio Cerruti nel 2000, il signor Nino mi disse di aver comprato poco - attribuiva la difficoltà di trovare indumenti adatti alle peculiarità del proprio fisico, longilineo e aspro come una scultura di Giacometti - preferendo piuttosto riutilizzare quanto già in suo possesso. «Indosso solo quel che mi piace e che mi fa star bene. Che sia di moda o meno non mi interessa affatto», mi disse, con la sua soave fermezza.

Semplicemente uomo di stile

Questa dedizione al riutilizzo non per ripetersi ma per reinventarsi ogni giorno nel rito del vestire, mi parve fin da subito una filosofia così lontana dal consumo cieco del presente bulimico da apparire come una panacea futuribile. Lo appare ancor di più oggi che agli oggetti di moda si assegna un valore virtuale a brevissima scadenza; oggi che nulla vale se non il logo e il marketing. Muovendosi tra rispetto della regola e rottura delle convenzioni, Cerruti ha dimostrato che lo stile conta, perché è la più vera delle autobiografie, e, se autentico, una forma vibrante di cultura. Nino Cerruti era un uomo di stile.


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