Un secolo di PPP, autore di un cinema personale, simbolico, amato e contestato
Cento anni fa nasceva Pier Paolo Pasolini, l’intellettuale che con i suoi film ha scritto una delle pagine più importanti del cinema italiano tra gli anni Sessanta e Settanta
di Andrea Chimento
4' di lettura
Scrittore, poeta e giornalista, capace con la sua penna di risultare tanto delicato quanto graffiante; regista che ha dato lustro alla “poetica delle periferie” sul grande schermo; drammaturgo e intellettuale scomodo e controverso: è stato tutto questo Pier Paolo Pasolini, un artista che ha lasciato un marchio indelebile nella nostra cultura.
Il 5 marzo di quest'anno ricorre il centenario dalla sua nascita e, per l'occasione, ripercorriamo la sua straordinaria e versatile cinematografia, perennemente capace di far discutere i tanti cultori della sua poetica e gli altrettanti detrattori: ancora oggi, quando si parla di Pasolini, sono in molti a osannare il suo stile e le sue pellicole, ma anche numerosi coloro che sminuiscono il suo lavoro dietro la macchina da presa.
Pasolini, d'altronde, è davvero nato per far discutere, ma soprattutto per far riflettere con i suoi simbolismi e le sue allegorie a sfondo morale, tese ad attuare una vera e propria demolizione della borghesia, che risulta ancora oggi, analizzando le sue opere, uno dei fini più evidenti del suo lavoro.Senza mai scendere a compromessi, Pasolini ha dato sempre vita a immagini di rara crudezza per creare delle analogie tra il passato, i miti e le fonti classiche con il mondo moderno.
Gli esordi
Dimostra la sua grande forza fin dall'esordio, «Accattone» del 1961, girato senza un'adeguata preparazione tecnica, ma con accostamenti impressionanti tra la vita dei ragazzi delle borgate romane e la musica classica di Bach: il risultato è un film che si muove tra il sacro e il profano in maniera invidiabile, che si può anche leggere come una vera e propria trasposizione dei suoi romanzi precedenti, a partire dal celebre «Ragazzi di vita» del 1955. Ad «Accattone» seguì nel 1962 «Mamma Roma», un’altra pellicola ambientata tra i meandri della periferia romana ricca di riferimenti colti (a partire dalla splendida inquadratura che richiama il «Cristo morto» di Mantegna).Il suo cinema si configura immediatamente come libero, moderno, privo di barriere e convenzioni: un cinema spiazzante, in una sola parola, come fu anche «Il vangelo secondo Matteo» del 1964.
A un pubblico abituato a trasposizioni bibliche realizzate con grande budget dalle grandi produzioni hollywoodiane, dai colori accesissimi e con molti effetti speciali, Pasolini risponde con un film in bianco e nero, dall’essenzialità addirittura neorealista, con attori sconosciuti e volti decisamente meno “belli” rispetto a quelli proposti dal cinema a stelle e strisce.
Corti e documentari
Se «Il vangelo secondo Matteo» fece scandalo, non va dimenticato che già nell’anno precedente Pasolini aveva attirato l’attenzione della Chiesa con «La ricotta», episodio inserito nel film collettivo «Ro.Go.Pa.G» (gli altri registi erano Rossellini, Godard e Gregoretti): in quell'occasione Pasolini mise in scena la lavorazione di un film sulla Passione di Cristo, con citazioni a pittori come Rosso Fiorentino e Pontormo, con Orson Welles nei panni del suo alter ego (il regista del “film nel film”) e alcune scelte narrative che scatenarono numerose controversie.
Nel corso della sua carriera Pasolini diresse anche altri cortometraggi ed episodi di film collettivi (semplicemente indimenticabile «Che cosa sono le nuvole?» con Totò), oltre ad alcuni documentari, tra cui nel 1964 quel «Comizi d’amore» che sembra anticipare molte forme del giornalismo moderno.
I film vicini al ‘68
Nella seconda metà degli anni Sessanta, a partire dal profondo e complesso «Uccellacci e uccellini» del 1966, il suo cinema si fa ancor più politico, impegnato, militante. Personaggi come il misterioso ospite di «Teorema» (1968), che possiede indistintamente tutti i membri della famiglia borghese che lo accoglie, o le perversioni di «Porcile» (1969) sono tutti strumenti simbolici che suscitarono attrazione e repulsione, oltre che una grossa difficoltà di comprensione, sia dalla sinistra sia dai cattolici che dalla destra.Anche con «Edipo Re» (1967) e «Medea» (1969) riprese le tragedie greche classiche per parlare (anche) dell’Italia del ventesimo secolo, del fascismo e delle differenze tra borghesia e sottoproletariato.
La Trilogia della Vita
Mentre un certo tipo di pubblico e di benpensanti lo consideravano una delle figure artistiche più pericolose della cultura italiana, Pasolini alza ancora di più l'asticella firmando la cosiddetta “Trilogia della Vita”, composta da tre film capaci di scandalizzare fin dal soggetto di partenza: «Il Decameron» da Boccaccio, «I racconti di Canterbury» da Chaucer e «Il fiore delle Mille e una Notte», che riprende la celebre raccolta di novelle orientali.I risultati della Trilogia si possono considerare altalenanti, ma a Pasolini interessava mostrare qualcosa che sul grande schermo sostanzialmente non si era mai visto prima e, proprio seguendo questa linea, realizzò quello che ancora oggi è uno dei lungometraggi più controversi che siano stati mai stati girati: «Salò o le 120 giornate di Sodoma», la sua ultima pellicola, proiettata per la prima volta nell'anno della sua morte, il 1975.
Salò o le 120 giornate di Sodoma
Fu un’opera che scatenò moltissime proteste e lunghe persecuzioni giudiziarie: il produttore subì processi per oscenità e la pellicola venne sequestrata, prima di tornare in circolazione qualche anno dopo. Eppure, questa pellicola maledetta e monumentale, allo stesso tempo repellente e fondamentale, che mescola il marchese De Sade, l’Inferno di Dante e il fascismo, è sicuramente tra le opere più importanti che Pasolini abbia realizzato.Un film complesso e intellettuale, che ci porta spesso a voler distogliere lo sguardo dallo schermo per gli orrori mostrati, ma che allo stesso tempo è realmente qualcosa che prima (e forse dopo) non si era mai visto. «Salò o le 120 giornate di Sodoma» (che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una nuova trilogia, la “Trilogia della Morte”) è l’ennesima, straordinaria testimonianza dell’urgenza creativa che muoveva lo spirito di Pasolini.Dopo la sua morte sono stati realizzati diversi film per raccontarlo (tra gli altri, «Pasolini, un delitto italiano» di Marco Tullio Giordana, «Pasolini» di Abel Ferrara e «La macchinazione» di David Grieco, con Massimo Ranieri che veste i suoi panni), ma per riuscire a capire al meglio il suo spirito e la sua persona il consiglio è di (ri)vedere le sue opere, soprattutto quelle più controverse, capaci di risultare ancora oggi di grande attualità.
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