Un uomo libero come te, l’ergastolano che ha sfidato il male - Ascolta il podcast
«Se in Italia ci fosse stata la pena di morte – spiega con freddezza Roberto Cannavò -meritavo la pena di morte.Però in base alle leggi che abbiamo, io sento di meritare la libertà completa. E’ una vittoria dello Stato»
di Luca Benecchi
2' di lettura
Roberto Cannavò ce l’ha fatta. Si è riconquistato la libertà dopo un lunghissimo percorso che lo Stato gli ha dato la possibilità di seguire. Dopo ventisei anni di carcere e cinque di libertà vigilata, ora è un uomo libero. La sua storia non è facile e non è scontata. Troppo male per potersi prendere alla leggera. Troppi percorsi alla ricerca di sé che sono costati tanto. Un ergastolo, tante condanne a trent’anni. Patteggiamenti che qualche anno fa erano permessi. Alla fine la responsabilità di tredici omicidi compiuti come esponente della mafia catanese. Come si può uscire da tutto questo. Come si fa a costruirsi una via di uscita. La via di uscita è scritta nelle leggi, nella possibilità che lo Stato conferisce anche a chi ha compiuto crimini pesanti, di cambiare strada.
Nel podcast “Un uomo libero come te, l’ergastolano che ha sfidato il male”, il sesto episodio della serie Vie di Uscita, prodotto dal Sole 24 ore e da Radio 24, Roberto Cannavò racconta i momenti più difficili di questo percorso. Un percorso che comincia non a caso da quando era adolescente e dopo una rapina è finito nel carcere di Termini Imerese ai tempi del maxi processo. Un posto dove ha imparato a delinquere. Fino all’omicidio per errore di cui è stato vittima suo padre e come per uno scherzo del destino, il drammatico racconto di quando lui ha sparato e ucciso per errore. Un errore da cui non si è mai ripreso e che lo ha segnato profondamente anche nella decisione di intraprendere un percorso di giustizia riparativa con i parenti della vittime di mafia. La stratificazione del male che giorno dopo giorno toglie autonomia decisionale e a cui non si può che rispondere facendo ancor più male. Commettendo più omicidi, sprofondando nell’abisso. Un abisso che significa mesi di isolamento diurno nel carcere di Opera a Milano. Lì dentro uno specchio ha cominciato a riflettere un’immagine. Quella del viso di Roberto Cannavò e della sua anima.
Ma la svolta è stato il no di una figlia che per poter essere riconquistata ci sono voluti anni. «Io mi immagino – racconta Cannavò nel podcast - che se come finisco a settembre questa cosa qua la prima cosa che voglio fare anche se piove forte, anche se muoio di freddo. Voglio stare un giorno tutta la notte fuori perché voglio sentire proprio la libertà completa che oggi ritengo di meritare.«Se ci fosse statala pena di morte – spiega con freddezza -meritavo la pena di morte.Però in base alle leggi che abbiamo, io sento di meritare la libertà completa. E’ una vittoria dello Stato», conclude Cannavò. «Io oggi, tenendo presente che ho sbagliato e non sono nelle condizioni di poter aprirmi apertamente con la mente come tutti quanti gli altri, io oggi sono una persona recuperata da parte delle istituzioni. Perché mi hanno cercato e mi hanno saputo tendere la mano. Quindi lo Stato con me ha vinto».
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