Un viaggio nelle segrete stanze del Sol Levante
Laura Imai Messina racconta, attraverso bianco, nero e grigio, la storia dei colori, le tradizioni e la cultura del Paese
di Maria Luisa Colledani
2' di lettura
Vedi alla voce vedere. Cioè «Scartare le cose dall’ovvio, tra cinquanta possibili neri individuarne uno soltanto. Riconoscerlo, chiamarlo per nome, farlo proprio». Come è possibile fare proprio il Giappone, la sua storia, il suo inconoscibile con Il Giappone a colori, nuovo libro di Laura Imai Messina, da anni nostra chiave d’accesso alle segrete stanze del Sol Levante.
Tre colori per il tutto
La scrittrice parte da tre colori – grigio, bianco e nero –, ci accompagna all’Ufficio postale alla Deriva o nel quartiere delle geishe, fra i tendaggi di Capodanno o all’addio del poeta Matsuo Bashō. Ogni luogo ha un colore, sviscerato fino all’ultimo baluginio grazie ai kanji che ne compongono il nome. Meraviglia e poesia a piene mani, anche grazie alle illustrazioni di Barbara Baldi: «Il giapponese ha circa 1.200 parole per dire la pioggia, 1.040 per raccontare il vento e 611 per le nuvole. E il loro colore? Di che colore è un cielo sgombro? Di che colore è un cielo con nuvole al pascolo? E uno completamente intasato dal bianco e dal grigio? Quando la pioggia e lì lì per cadere, come lo si può definire?».
Pagina dopo pagina, entriamo, come in un viaggio, in tempi e luoghi segreti; i rimandi lessicali – puntuali come un treno giapponese e frutto di ricerca minuziosa – creano una stanza di specchi. Non si può che rimanere stregati, invischiati da questi rimandi di rimandi, come fossero mille luci, o forse una luce sola. Quella che porta alle soglie dell’anima più intima del Giappone. Edo, l’antica Tokyo, era funestata dagli incendi e l’economia si basava su un costante ciclo di distruzione e ricostruzione. Siccome l’eco delle parole in Giappone ha sempre una sua qualche maledizione, mica si poteva dire grigio cenere, molto meglio virare verso i topi, che nel periodo Edo (1603-1868) erano amabili animali di compagnia. Quanto alla cenere veniva immersa nell’acqua, lasciata depositare e il sopranatante ottenuto per filtrazione era chiamato liscivia. Dunque, ecco il color liscivia, composto da due kanji «cenere» e «succo», cioè «l’essenza liquida di quanto è bruciato nel fuoco e filtrato dall’acqua». Di colore in colore, quello più temuto era il bianco, il colore degli abiti del lutto. Associato alla divinità, nella vita richiama dolore e separazione e c’è il bianco argilla, il color giglio bianco, arrivato dall’anglosassone Lily White, il color seta naturale e anche il color culo a (nocciolo) di pesca.
Dai colori al senso del Giappone
Questo libro è una margherita-arcobaleno che Laura Imai Messina sfoglia con grazia e curiosità: «Amo questi salti a cui mi costringe il giapponese, le crepe improvvisamente aperte da una scossa di terremoto, che mi spingono a intuire prima ancora di sapere le cose». E, per osmosi, lo slittamento dal colore, al kanji, al senso illumina una gran sete di domande, di dubbi, di vita, da colorare a modo nostro, e da fermare, una buona volta.
Laura Imai Messina
Il Giappone a colori
Illustrazioni di Barbara Baldi
Einaudi, pagg. XVIII-342, € 20
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