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Una bibita ben fredda? Attenzione al ghiaccio

di Maria Teresa Manuelli

4' di lettura

Quasi il 60% del ghiaccio somministrato in bar e ristoranti non è sicuro dal punto di vista igienico e sanitario. Una brutta notizia per i consumatori accaldati, che in questi giorni afosi cercano ristoro e sollievo in una bibita “ghiacciata”. Il rischio di contrarre malattie e, talvolta anche di ingerire sostanze chimiche con il ghiaccio, infatti, è molto alto. Questo perché il ghiaccio non è un alimento sterile di per sé: il processo di congelamento dell'acqua non produce l'inattivazione degli agenti infettanti che causano malattie eventualmente presenti, ma solo la loro attenuazione e il pericolo di contaminazione può essere anche molto alto, sia in fase di produzione che di conservazione. A lanciare l'allarme è INGA- Istituto Nazionale Ghiaccio Alimentare che oggi, a Milano, presso la Sala Congressi di Regione Lombardia, ha presentato i primi risultati dell'applicazione del Manuale di corretta prassi igienica per la produzione di ghiaccio alimentare approvato dal Ministero della Salute e redatto, per la prima volta in Europa, per stabilire le buone prassi nella gestione del ghiaccio. Il ghiaccio alimentare, infatti, nasconde pericoli o contaminanti fisici (rappresentati da corpi estranei di varia natura che possono contaminare il ghiaccio e creare danni al consumatore se ingeriti), chimici (sostanze che, se presenti nel ghiaccio in concentrazioni superiori a quelle definite, possono essere dannose per la salute dell'uomo), biologici (rappresentati da organismi viventi o loro parti, appartenenti a domini e specie diverse che con varie modalità possono causare malattie nel consumatore, se assunti con il ghiaccio). Il ghiaccio, quindi, deve essere trattato alla stregua di un alimento: va prodotto, stoccato e somministrato, attenendosi a quanto la normativa vigente prevede per la tutela massima del consumatore. Cosa che non sempre avviene, come dimostrano i primi dati rilevati sul territorio da parte degli organi di controllo della Regione Sicilia - prima regione italiana in cui sono state avviate tali valutazioni - che fotografano una situazione di grave negligenza. Non si tratta, comunque, di un fatto isolato che riguarda solo la Sicilia, ma è una questione che merita maggior attenzione da parte di tutto il territorio.

Il 56% del ghiaccio nei bar e ristoranti non è igienico
«Ci siamo concentrati in particolare sulle attività di produzione e di somministrazione presenti nell'area costiera della provincia di Palermo – ha spiegato Pietro Schembri, direttore servizio 7 sicurezza alimentare dipartimento attività sanitarie e osservatorio epidemiologico Assessorato della Salute della regione Sicilia – e i risultati che abbiamo ottenuto, nonostante il piccolo campione, sono stati inattesi; infatti nel 56% degli operatori controllati, ovvero produttori ed esercizi di somministrazione, il ghiaccio ha presentato delle positività microbiologiche e, talvolta, chimiche. Ovvero: era contaminato». «Per questo – ha aggiunto – abbiamo deciso di creare nell'ambito della conferenza regionale dei servizi di sicurezza alimentare, una speciale sotto-sezione dedicata al ghiaccio. Un passo importante che ci consentirà di estendere gli interventi di controllo e monitoraggio all'intera regione e non solo alla provincia di Palermo. I risultati sono stati sorprendenti: proprio perché si trattava di poca consapevolezza al problema, una volta posto tutti gli esercizi e le attività interessate hanno provveduto a risolverlo e a mettersi in regola». Il monitoraggio, iniziato in provincia di Palermo, sarà quindi esteso dapprima a tutta la Sicilia per proseguire poi nelle altre regioni italiane.

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Dalle indagini, in particolare, è emerso che i batteri di contaminazione del ghiaccio non sono stati ritrovati nei campioni prodotti a livello domestico, ma soprattutto negli esercizi commerciali. In quelli che autoproducono ghiaccio accade che non sempre si utilizzi acqua con i requisiti necessari a renderla idonea al consumo umano, non sempre si effettuano con continuità le operazioni di sanificazione delle macchine produttrici e delle attrezzature utilizzate per lo stoccaggio, non si ha alcuna evidenza e certezza che tutti i materiali che vengono a contatto col ghiaccio siano idonei né vi sono procedure chiare e scritte su come gli addetti debbano manipolare il ghiaccio o su come vada stoccato e movimentato. In pratica, la produzione, conservazione e somministrazione di ghiaccio sono attività che oggi nella maggioranza dei casi non vengono eseguite in maniera corretta.

Serve una normativa specifica per tutelare il consumatore
«Purtroppo oggi la produzione, conservazione e somministrazione di ghiaccio non sono tenute nella dovuta considerazione – ha commentato Carlo Stucchi, Presidente Istituto Italiano Ghiaccio Alimentare di Roma – e nella maggioranza dei casi non vengono incluse nel sistema HACCP. Per questo, il primo passo auspicabile dovrebbe essere proprio quello di includere queste importanti attività di produzione alimentare nel sistema HACCP e, contemporaneamente, lavorare per la diffusione del Manuale, uno strumento inedito che indica per la prima volta tutte le norme necessarie a garantire che il ghiaccio arrivi al consumatore privo di contaminanti fisici, chimici, ma soprattutto biologici».
Ma anche per la produzione industriale è necessario fare maggiore attenzione, soprattutto dove vi sono tanti piccoli, medi e grandi produttori poco controllati, che solo in parte seguono seriamente le regole per la produzione di alimenti. Secondo Inga, in Italia negli ultimi anni sono nati decine di piccoli produttori artigianali che producono con piccole macchine del ghiaccio, imbustano e vendono ghiaccio senza alcun controllo, molto spesso senza rispettare la tracciabilità degli alimenti, senza verifiche sui materiali di confezionamento utilizzati, senza un n. di lotto indicato sulle confezioni, senza avere contezza dell'acqua utilizzata.

Italia, grande potenziale di crescita nel mercato del ghiaccio
Il mercato del ghiaccio a livello globale è già estremamente sviluppato, a partire dagli Usa. Fra i paesi europei la Spagna la fa oggi da padrona con un consumo annuo di oltre 500mila tonnellate di ghiaccio di cui il 50% circa è autoprodotto e l'altro 50% prodotto e confezionato in grandi stabilimenti produttivi, mentre, secondo quanto rilevato dall'International e European Packaged Ice Association, l'Italia è il paese con il più alto potenziale di crescita che, in pochi anni potrebbe arrivare a contare un consumo di oltre 400mila tonnellate. Nel 2010, secondo quanto rilevato da uno studio di Bain & Company, le tonnellate autoprodotte e consumate in Italia sono state oltre 170mila. I bar diurni consumano all'anno 58mila tonnellate di ghiaccio e i ristoranti 25mila tonnellate.
«Inga – ha concluso Stucchi – continuerà a lavorare con l'obiettivo di promuovere i corretti principi della tecnica di produzione, sia industriale che di autoproduzione, nonché quelli di conservazione e distribuzione del ghiaccio. Per farlo,

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