ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIntervista a Piergiorgio Morosini

«Una commissione per cercare la verità sulle stragi di mafia»

La proposta del presidente del Tribunale di Palermo: «A oltre 30 anni dalla stagione di attacco al cuore della democrazia, resta intatto il diritto alla ricerca della verità i cui titolari sono i cittadini»

di Nino Amadore

Presidente del Tribunale di Palermo. Il magistrato Piergiorgio Morosini, che è stato a lungo Gip proprio a Palermo

4' di lettura

«Ho il massimo rispetto della sentenza della Cassazione sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia. Si è chiusa una vicenda una lunga vicenda processuale ma non possiamo dire che dopo quella sentenza non vi siano pezzi mancanti nella ricostruzione anche giudiziaria di quella stagione. Non rinnego nulla di quello che è stato il mio contributo in quel processo, registro che ci sono ancora degli approfondimenti aperti sulle stragi del biennio 92-93 e quindi occorrerà attenderne l’esito». A parlare è Piergiorgio Morosini, 59 anni, presidente del Tribunale di Palermo ma alle spalle un’esperienza da consigliere al Csm e prima ancora un lungo lavoro all’ufficio Gip a Palermo. È stato lui a firmare il rinvio a giudizio che ha poi portato al cosiddetto processo Trattativa.

Che idea si è fatto per esempio sul movente delle stragi.

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Non ho una chiave di lettura: mi sembra che ancora sia poco chiaro il movente. Per quanto riguarda la strage di via D’Amelio, anche le sentenze che hanno parlato di depistaggio e non hanno dato delle indicazioni univoche sul movente e questo è oggetto di approfondimenti che sono in corso. Una cosa è certa: a oltre 30 anni da una stagione di attacco al cuore della nostra democrazia, resta intatto il diritto alla ricerca della verità i cui titolari sono i cittadini italiani. La ricerca della verità non va coltivata solo nel circuito della giurisdizione ma anche in altre postazioni istituzionali. Forse occorrerebbero luoghi non vincolati alle regole molto rigide del processo penale. Dovrebbero essere postazioni istituzionali in cui anche intellettuali (storici, giornalisti) abbiano la possibilità di offrire un contributo per la ricostruzione di certi fatti.

Ci sono le condizioni in questo momento politico istituzionale per fare questi approfondimenti?

Non lo so. Ma non vi è dubbio che per la gravità di quello che è successo, occorrerebbe anche forse uno sforzo di comprensione che va oltre. Noi dobbiamo capire se ci sono stati nel nostro paese dei nemici della ricerca della verità “dentro” gli apparati statali come per le stragi di piazza Fontana e della stazione di Bologna. E questo rende tutto molto più complicato.

Parliamo della mafia. Liquida, trasparente, inabissata?

La mente di Giovanni Falcone ha concepito la Procura nazionale antimafia che ha il compito di aggiornare le chiavi di lettura del fenomeno. Noi dovremmo partire da quello che sta producendo quell’organismo che ha la possibilità di raccogliere tanti dati e di coordinarli tra loro.

Lei che idea si è fatto?

I dati che emergono dalle ultime indagini ci propongono un’idea dell’organizzazione che ancora, in certi quartieri cittadini e certe fasce della provincia, cerca di controllare il territorio anche attraverso le estorsioni, mi sembra poi che ci sia un rilancio in grande stile del traffico di stupefacenti. E poi c’è tutta una parte che va approfondita con grande interesse e che riguarda però non solo la Sicilia ma gli interessi mafiosi in tutto il nostro paese con riferimento alla possibilità di intercettare le somme stanziate per il rilancio della nostra economia .

Ma abbiamo gli strumenti giusti per affrontare il problema.

Il sistema legislativo negli ultimi anni con riforme varie non ci ha aiutato molto. Ci sono state molte riforme che hanno riguardato la giustizia penale molto ravvicinate tra loro e questo non ha consentito di implementare delle interpretazioni sulle norme in grado di rendere più fluente l’attività giudiziaria. Anzi l’hanno stesso inceppata. E questo è già di per sé un indebolimento sul fronte del contrasto giudiziario a certi fenomeni criminali. La macchina giudiziaria deve adattarsi a riforme anche molto consistenti e lo deve fare più volte in un arco temporale ristretto. Ciò rende le risposte meno tempestive e noi sappiamo che le risposte meno tempestive danno un vantaggio certo alla criminalità. Dovremmo interrogarci anche su questo quando discutiamo delle riforme.

Si riferisce alla riforma Nordio?

In questi giorni si sta discutendo della riforma dell’abuso d’ufficio che è stato modificato negli ultimi due decenni in diverse occasioni. Se passa la riforma dell’abuso d’ufficio il pubblico funzionario che fa favoritismi a vantaggio di persone a lui molto vicine non sarà più colpito dal punto di vista penale. Io credo che questo sia un fatto che indebolisce l’azione di contrasto all’illegalità nelle pubbliche amministrazioni. Ma proprio perché anche le élite mafiose sono molto concentrate sul controllo delle pubbliche amministrazioni forse possiamo dire che l'abolizione del reato di abuso d’ufficio alla fine si traduce in un indebolimento dell’azione di contrasto anche nei confronti dell’organizzazione mafiosa.

Ma io ho la sensazione siano all’opera dei network criminali che usano le reti per fare affari.

Le élite mafiose hanno abbandonato o comunque hanno aggiunto diciamo alla tradizione un altro modulo comportamentale che è quello di far parte di comitati d’affari dove dentro necessariamente ci deve essere il pubblico funzionario per le amministrazioni, l’imprenditore di riferimento per un certo tipo di attività. Ci deve essere a volte anche la copertura di un politico di un personaggio politico che non necessariamente viene reclutato attraverso il voto di scambio ma che può essere diciamo contattato successivamente perché c’è una convergenza di interessi. E tutto quello che insomma la Cassazione chiama la mafia silente. Cui poi non applica neanche il paradigma del 416 bis perché non ci sarebbero le caratteristiche strutturali di quel reato.

Va forse fatta una riforma dell’articolo 416 bis aggiornandolo alle nuove forme del fenomeno mafioso?

Forse sì. Oggi quando noi facciamo riferimento a quelle reti, a quei comitati d’affari, noi dobbiamo ragionare, soprattutto su certe forme di reato che sono legate molto all’evasione fiscale, alla corruzione, all’impiego di capitali al riciclaggio. Al di là della figura di reato con la quale con la quale vogliamo colpire certi fenomeni, noi dobbiamo sapere che per capire certi fenomeni abbiamo bisogno anche di specializzazioni diffuse nella polizia giudiziaria e nella magistratura.

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