Una domanda sulla Leadership
Quando pensiamo alla Leadership, la nostra mente e il nostro cuore ci portano a soffermarci e riflettere su qualità umane prima di considerare qualunque risultato di tipo economico-finanziario o titoli accademici. Perché?
di Paolo Gallo*
4' di lettura
Posso farle una domanda? Che parola le viene in mente quando pensa al miglior leader con cui Lei ha lavorato? Bastano 5 secondi per pensarci. Le confesso che so già la Sua risposta. Le sono venute in mente parole come Fiducia, Empatia, Integrità, Ascolto, Umiltà, Aiuto, Autenticità, Passione, Altruismo, Generosità, Energia, Ottimismo, Motivazione. Le confesso che ho fatto questo domanda almeno 200 volte a tanti gruppi, studenti, dirigenti, impiegati in aziende in 30 nazioni diverse.
Mi ha colpito che nessuno abbia mai – ripeto mai – risposto “un leader è una persona che raddoppia il fatturato” oppure “dimezza i costi”, “aumenta il valore delle azioni” oppure “ha scritto libri” o che “parla 4 lingue” oppure “laureato” in qualunque università, anche le più prestigiose. Che cosa significa questa risposta?
Quando pensiamo alla Leadership, la nostra mentre e il nostro cuore ci portano a soffermarci e riflettere su qualità umane prima di considerare qualunque risultato di tipo economico-finanziario o titoli accademici. Detto così, plausibile ma anche idealistico, se non addirittura ingenuo. Veramente la Leadership, viene forgiata e parte dal carattere e dalle qualità personali?
Per poter rispondere attingiamo a discipline diverse, la psicologia, la storia, il management oltre alla evidenza empirica di stampo accademico. Lo psicologo Daniel Goleman, diventato celeberrimo dopo la pubblicazione del suo libro Intelligenza Emotiva ha scritto un articolo per Harvard Business Review diventato un classico What makes a Leader? Nel suo articolo, scrive che l'intelligenza cognitiva (IQ) e le competenze tecniche sono importanti ma l’intelligenza emotiva è il vero sine qua non della leadership. Le cinque componenti – per ricordarcelo – sono la consapevolezza, la capacità di auto-controllo, la motivazione, l’empatia e le capacità relazionali.
La biografa-storica Doris Helen Goodwin ha scritto ben cinque biografie di altrettanti presidenti degli Stati Uniti: nel suo ultimo libro datato 2018 Leadership in Turbolent Times si interroga su quali siano le qualità di un Leader in tempi burrascosi. Paragona diversi presidenti e afferma che per essere un Leader servono l’umiltà, l’empatia, la capacità di controllo e la sicurezza di sé. Tratti caratteriali che la scrittrice ha riscontrato nei migliori presidenti del Stati Uniti, come ad esempio Abraham Lincoln.
Attenzione: la sicurezza di sé deve essere intesa come attitudine positiva all’ascolto di persone “forti” che non la pensano come noi, non come “io sono il capo, quindi ho sempre ragione”. Quello si chiama narcisismo, un’altra cosa, lontano anni luce dalla Leadership. Se pensiamo al management, l’evidenza diventa schiacciante: mi limito alla frase del padre del Management, Peter Drucker . “Un Manager fa le cose fatte bene, un Leader fa le cose giuste”, “A manager does the things right, A leader does the right thing”, frase illuminante per aiutarci a capire la funzione essenziale del Leader, che non perde mai la bussola dei propri Valori, il senso etico delle proprie scelte.
James J. Hackman e Tim Kautz, professori di Economia alla Università di Chicago, hanno condotto uno studio – pubblicato nel 2012 – per verificare la correlazione tra soft skills e il successo. Hanno intitolato il loro studio Hard evidence on soft skills; soft skills – scrivono i due ricercatori, riescono a prevedere e a produrre successo personale e professionale.
Il MIT Sloan School of Management ha recentemente proposto di cambiare la definizione: non chiamiamole più soft skills, chiamiamole smart skills – basati sul libro di Loredana Padurean -. Indovinate quali sono le Smart skills? Capacità di adattamento, maturità emotiva, umiltà, capacità di ascolto, diversità, lavorare con gli altri, saper influenzare.
Nei miei seminari chiedo sempre ai partecipanti di condividere un esempio concreto di Leadership che hanno vissuto. Le storie sono sempre legate a qualcuno che ha fatto qualcosa per loro, senza interesse, quando magari si trovavano in difficoltà personali o professionali.
Il Leader è uno che ha aiutato anche solo nell’ascoltare senza giudicare, che ha creato fiducia o nel dedicare tempo prezioso alle persona.
La seconda domanda che offro come spunto di riflessione è semplice. E Lei che cosa sta facendo per le persone che lavorano con Lei? Sta cercando di essere quel Leader che Lei stesso sperava di incontrare all’inizio della sua carriera? Se non siete ancora convinti, vi offro un’altra domanda. Che cosa succede in un team quando i comportamenti del Capo – non del Leader – sono l’esatto opposto delle parole a cui avete pensato nel ricordare il miglior Leader con cui voi avete mai lavorato?
Purtroppo molti – incluso il sottoscritto – hanno vissuto periodi difficili di capi senza scrupoli, rispetto per gli altri, integrità, narcisisti vanesi. Sappiamo bene quali siano le conseguenze in termini motivazionali e – in casi più gravi – di burn-out, dimissioni, stress e malattie. Jeffrey Pfeffer ne parla nel suo libro Dying for a paycheck, traducibile in Morire per lo stipendio, un libro intenso che fornisce l’evidenza della mancanza di regole etiche, di Leadership, di aziende che chiedono sempre di più ai propri dipendenti.
Mi ha colpito leggere che il nostro capo abbia una influenza sulla nostra salute mentale superiore a quella delle nostre famiglie. La Vostra risposta alla mia prima domanda è quindi corretta. Il nostro carattere è la fondamenta del nostro viaggio per diventare Leader. Come nelle case, non le vediamo ma sappiamo che senza fondamenta le case non stanno in piedi. Lo stesso vale per la Leadership: si parte da dentro di noi dalla nostra consapevolezza e dal nostro carattere, dal miglioramento costante come persone per-bene, per poi costruire e raggiungere risultati tangibili, da condividere con generosità con gli altri. Questa è la Vera Leadership, quando non c’è si vede subito e quando è presente diventa un tratto invisibile - ma essenziale - dei Leader.
*Paolo Gallo è executive coach, autore e conferenziere
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