Una Liberazione da reclusi
I medici e gli infermieri combattono oggi la pandemia come tutti coloro che allora lottarono per la democrazia
di Emilio Gentile
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È un paradosso dell’imprevedibile ironia della storia: la festa nazionale della Liberazione nell’anno 2020 sarà ricordata come la giornata della Reclusione nazionale, imposta dal governo a tutta la popolazione, per proteggerla dalla pandemia del Covid-19, che ha fatto migliaia di vittime, in una tragica commistione di solitudine e disperazione, solidarietà e speranza. Non ci saranno manifestazioni popolari per il settantacinquesimo anniversario della Liberazione. Nessuno avrebbe potuto prevederlo all’inizio del 2020. Si può invece prevedere la ripetizione delle polemiche, che nei sette decenni passati, hanno quasi sempre preceduto, accompagnato e seguito la festa della Liberazione, insieme a reiterati e sparsi auspici di concordia nazionale nello spirito della Resistenza.
La storia non si ripete. La storia si ripete. La storia è prevedibile. La storia è imprevedibile. Sono antinomie ricorrenti nella storiografia, fin dalle sue origini. I sostenitori dell’una o dell’altra tesi possono addurre esempi per confermare ciò che sostengono.
Un esempio è proprio la storia della festa della Liberazione. Ebbe origine il 22 aprile 1946, quando Umberto II, su proposta del presidente del Consiglio, il democristiano Alcide De Gasperi, promulgò un decreto luogotenenziale, col quale dichiarò il 25 aprile 1946 festa nazionale a «celebrazione della totale liberazione del territorio italiano». De Gasperi era a capo di un governo di coalizione con tutti i partiti antifascisti, e la sua proposta era stata sollecitata dal comunista Giorgio Amendola, sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Dopo la istituzione della repubblica, nel suo primo anno di storia la festa del 25 aprile fu celebrata con la partecipazione unitaria dei partiti antifascisti in manifestazioni ufficiali e popolari. Ma già due anni dopo ci fu una imprevista novità: cessarono le manifestazioni unitarie per l’anniversario della Liberazione, perché comunisti e socialisti erano stati definitivamente esclusi dal governo. Iniziò allora, e si ripeté per quasi mezzo secolo, ogni 25 aprile, il conflitto fra socialisti e comunisti da una parte, democristiani e liberaldemocratici dall’altra, che reciprocamente si rinfacciavano di aver tradito lo spirito della Resistenza. Fin dal 25 aprile 1949, Primo Mazzolari, sacerdote antifascista, osservò: «La resistenza continua ma in nome della parte contro la Patria, perpetuando e aggravando la frattura. […] Se la Resistenza per colpa dei partiti non avesse perduta la sua iniziale nobiltà, se avesse conservato intatto il patrimonio spirituale dei suoi Morti, se invece di scavare una trincea avesse costruito un ponte, avrebbe salvato l’Italia».
Da allora, la storia del 25 aprile proseguì con la ripetizione di aspre polemiche fra gli antifascisti al governo e quelli all’opposizione, contrapposti nella rivendicazione della autentica eredità resistenziale. Invano si levarono appelli a celebrare in spirito di concordia nazionale l’evento che aveva generato la repubblica democratica in Italia. «Nel celebrare oggi l’anniversario della Liberazione, quarant’anni dopo quel 25 aprile 1945 – ammoniva nel 1985 Orazio M. Petracca sul «Sole 24 Ore» – sarà il caso di cominciare a dirci finalmente la verità. E la verità è che la classe politica forgiatasi nella Resistenza, insieme agli esponenti più attivi del mondo politico prefascista, fu capace di dare a questo Paese un regime democratico quando la maggior parte della popolazione italiana, compresi ampi settori dei gruppi dirigenti, non si poteva dire propriamente democratica».
Nel decennio successivo, le polemiche sul 25 aprile continuarono a dividere gli antifascisti, ma ci furono anche impreviste novità nazionali, a loro volta conseguenza di una imprevista novità continentale, di portata epocale: il crollo dei regimi comunisti nell’Europa orientale e la decadenza dei partiti comunisti nell’Europa occidentale. Si dissolse anche il Partito comunista italiano, che per quasi mezzo secolo aveva rivendicato il monopolio dell’antifascismo, accusando la Democrazia cristiana e i suoi alleati di aver tradito l’eredità della Resistenza. Contemporaneamente, ci fu un’altra novità imprevista: in un paio d’anni, fra il 1992 e il 1994, si dissolse il sistema dei partiti antifascisti che avevano fondato la repubblica. Nuove o trasformate formazioni politiche parteciparono alla incerta nascita di una Seconda repubblica, senza sostanziali mutamenti costituzionali. Ma non cessarono le polemiche sulla festa della Liberazione: il 25 aprile 1994, il capo dello Stato esortò tutti gli italiani alla concordia, nel rispetto della verità storica e dei valori della Costituzione scaturita dalla Resistenza.
In quello stesso anno, appena un mese dopo il 25 aprile, avvenne un’altra novità, imprevedibile solo un anno prima: la formazione, dopo le elezioni politiche, di un nuovo governo presieduto da un imprenditore, diventato capo politico come fondatore di un nuovo partito che definiva liberale. Del nuovo governo, entrato in carica l’11 maggio, facevano parte, per la prima volta, esponenti di un partito neofascista esistente dal 1946, che aveva sempre denigrato la celebrazione del 25 aprile, considerandola una giornata di lutto nazionale. Il capo del partito neofascista, trasformatosi in partito postfascista all’inizio del 1994, partecipò alla celebrazione della Liberazione, auspicò una «riconciliazione nazionale» fra postfascisti e antifascisti, dopo avere riconosciuto che l’antifascismo era stato un «momento storicamente essenziale perché tornassero in Italia i valori della democrazia».
Nella storia del 25 aprile, la conseguenza di tutte le impreviste novità ora ricordate, fu la riscoperta del valore politico e del significato storico dell’antifascismo dei cattolici, dei liberali, dei monarchici e dei militari, accanto all’antifascismo dei comunisti, dei socialisti e degli azionisti. «Ogni seria celebrazione di storiche ricorrenze offre il vantaggio di rimuovere la stratificazione di conformismo e di pigrizia che si sono sedimentati su date ed eventi emotivamente coinvolgenti», osservò nel 1995 Ettore A. Albertoni sul «Sole 24 Ore», citando importanti protagonisti della Resistenza, non comunisti o anticomunisti, come Leo Valiani, Alfredo Pizzoni, Edgardo Sogno, i quali mostravano «chiaramente che la Resistenza non-comunista non fu affatto un fenomeno marginale». Quell’anno, la festa della Liberazione fu celebrata a Milano con una imponente manifestazione antifascista per protestare contro la nuova destra postfascista, mentre il capo dello Stato rinnovò l’invito alla concordia nazionale, sempre nel rispetto dei valori della Resistenza.
Venticinque anni dopo, in occasione di un 25 aprile senza manifestazioni popolari, è prevedibile che si ripeteranno sia le polemiche sulla festa della Liberazione sia gli appelli alla concordia nazionale. È però soprattutto auspicabile una imprevista novità della storia: che la tragedia di migliaia di morti in solitudine e disperazione, generi una duratura solidarietà collettiva nella popolazione italiana, che sia più efficace della sola speranza, sull’esempio delle migliaia di medici e infermieri, impegnati nella lotta contro la pandemia a rischio della vita, come coloro che combatterono per restituire all’Italia la democrazia nella libertà.
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