Una nuova costituzione per il Regno (dis)Unito
di Gordon Brown
3' di lettura
Oggi il Regno Unito è unito solo di nome. Con regioni e industrie che cercano disperatamente di scongiurare una “Brexit dura” dalla Ue e la Scozia che sta pensando all’indipendenza, qualunque siano i legami che tengono insieme il Regno Unito, sono messi a dura prova.
Non è un fenomeno passeggero o temporaneo. Il voto pro-Brexit è stato fomentato dalla profonda rabbia della gente per il grave squilibrio strutturale che c’è fra il nord e il sud del Regno Unito. Ma la Brexit non farà che acuire quella spaccatura, perché davanti a un nord più dipendente dalle esportazioni, che perde posti di lavoro più velocemente del sud, l’ottimismo post-referendum crollerà.
Uno studio del 2016, condotto dall’economista Philip McCann dell’Università di Groningen, ha rilevato che il divario di reddito nel Regno Unito è tra i peggiori d’Europa. Nella Greater London, il reddito medio di una famiglia è 60% in più di quello di molte altre regioni di Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord.
Inoltre, stando agli ultimi dati Eurostat, il Pil pro capite (a parità di potere d’acquisto) nelle Valli del Galles e del Tees è rispettivamente del 69 e del 74% in meno rispetto alla media Ue, inferiore a quello di Lituania, Slovacchia e Slovenia.
Le politiche economiche regionali erano lo strumento per colmare il divario, ma il progetto della Northern Powerhouse per rilanciare le città del nord ha nascosto i tagli agli aiuti regionali che negli ultimi sei anni sono scesi a 2 miliardi di sterline l’anno.
Oggi, tre quarti dei fondi pubblici per la ricerca e lo sviluppo sono impiegati nel sud del Regno Unito, e solo il 7% è speso per il nord. E i divari storici nella spesa infrastrutturale continuano ad aumentare: nel 2020 e 2021, la spesa annua pro capite per le infrastrutture dei trasporti toccherà 1.900 sterline a Londra, ma sarà inferiore a 300 sterline nel nord-est.
McCann scrive che Londra si sta scollegando dal resto del Paese perché sono pochi i benefici – come nuovi posti di lavoro, industrie e tecnologia – che arrivano alle altre regioni dalla capitale. Questo significa che le politiche che stimolano l’economia di Londra fanno poco per le altre economie regionali del Paese.
Tutto questo porta a una conclusione: la Costituzione centralista nata con la Prima Rivoluzione industriale, quando il potere politico di Londra era sostenuto dal grande potere economico del nord e delle Midlands, non è più attuale. Le regioni periferiche, con i loro alti livelli di disoccupazione a lungo termine, stanno perdendo lavoratori. E un approccio londrocentrico non gioverebbe più nemmeno a Londra che deve far fronte alla congestione, al surriscaldamento economico e alla crisi immobiliare.
Se la centralizzazione decisionale continuerà, le disparità regionali si acuiranno ulteriormente. Il Regno Unito deve adottare un approccio più bilanciato che conferisca a ogni regione il potere di sviluppare il proprio potenziale economico e colmi il divario fra il cuore vitale del Paese e la periferia. A tal proposito, è fondamentale ripensare la Costituzione per considerare anche gli interessi regionali e riconoscere che il Regno Unito è uno Stato multinazionale.
Il divario fra nord e sud del Regno Unito rispecchia problematiche comuni a tutte le economie occidentali, dove stanno sorgendo movimenti che promettono di “ridare” il controllo alla gente e una nuova identità sta mettendo alla prova le forze moderate. Per come sono strutturati i governi, dobbiamo interrogarci su cosa significhino nazionalismo e protezionismo in un mondo sempre più interdipendente.
La sfida che il Regno Unito ha ripetutamente evitato, è come equilibrare l’autonomia con la cooperazione. Con troppa integrazione e centralizzazione, la spinta verso una localizzazione sarà sempre più forte. Senza una cooperazione sufficiente, non potremo risolvere le sfide economiche e sociali che richiedono un approccio collettivo. Solo trovando un buon equilibrio, potremo costruire un Regno Unito più giusto e più unito.
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