Una parata militare a Washington? Trump sfida l'ultimo tabù
di Marco Valsania
4' di lettura
New York - Circolano già voci sulla data. Potrebbe cadere nel Memorial Day il 28 maggio. Oppure nel Giorno dell'Indipendenza il 4 luglio. E che dire del Veterans Day, giornata dedicata ai Veterani l'11 novembre? Sarebbe questa forse l'occasione preferita dai vertici del Pentagono - la meno provocatoria - legata alla fine della Prima Guerra Mondiale e meno alla politica. Perché in gioco è l'ultimo tabù a Washington, quello di parate militari nazionali. Nonostante le forze armate di gran lunga più potenti al mondo e un complesso militar-industriale senza pari, lo sfoggio in pompa magna di arsenali è sempre stato limitato negli Stati Uniti a momenti particolari, in particolare le fini di conflitti vittoriosi. L'ultima parata “celebrò” la conclusione della prima guerra contro l'Iraq, ormai 26 anni or sono.
Il Pentagono, dietro ordine arrivato direttamente da Donald Trump poche settimane or sono durante un incontro con i generali, sta alacremente studiando tempistica e logistica. È, in fondo, tenuto a obbedire al Commander in Chief. Ma fuori dalle mura degli Stati Maggiori e del Dipartimento della Difesa infuriano le polemiche, sugli inutili sprechi per compiacere ambizioni - qualcuno dice megalomanie - individuali come sul messaggio che invierebbe al resto del mondo nell'era del nazionalismo bellicoso e isolazionista rampante alla Casa Bianca - incarnato dalla gara a chi ha il pulsante nucleare più grosso.
Trump vuole una parata «come quella di Parigi»
La genesi della parata di Trump è già rivelatrice: il Presidente prende a prestito
una pagina dal suo miglior amico-rivale europeo, quel presidente francese Emmanuel Macron, lui stesso notoriamente sensibile alla grandeur, che lo aveva invitato alle festività del giorno della presa della Bastiglia. Trump, per cui l'uso di superlativi è una seconda natura, «vuole una parata come quella di Parigi», ha rivelato un alto ufficiale. Anzi, vorrebbe una dimostrazione di forza semmai superiore. Soprassedendo convenientemente sia sulle origine davvero storiche della parata francese, risale almeno al 1880, che sui suoi aspetti odierni più aperti e diplomatici - spesso invita a marciare truppe straniere e alleate e sventola anche bandiere europee. L'opposizione democratica non ha così perso tempo: ha subito apostrofato la richiesta della Casa Bianca come un «fantastico sperpero» di denaro pubblico. Contro si è espresso anche il consiglio comunale della capitale Washington Dc che dovrebbe ospitare carri armati, truppe, missili e aerei sulle sue strade e nei suoi cieli.
I precedenti (e i flop) del passato
E inquietudine è giunta dagli esperti di numerose capitali europee. «Abbiamo un
novello Napoleone», ha incalzato il deputato democratico Jackie Speier.Il ricorso a scenografie militari, sia chiaro, non è ignoto ai politici americani. Quello più frequente è però occasionale - e a sua volta per nulla immune a polemiche. Vale la pena ricordare il fallito candidato presidenziale democratico George Dukakis negli anni Ottanta che si fece ritrarre nella torretta di un tank coprendosi di ridicolo e forse condannando definitivamente la propria campagna. O l'atterraggio di George W. Bush in tenuta da pilota sulla portaerei Abraham Lincoln che esibiva la molto prematura scritta «Mission accomplished», Missione Compiuta, nel secondo conflitto iracheno scattato dopo gli attentati dell'11 Settembre 2001.
Le vere e proprie parate nazionali - militari o simili - sono invece rimaste estranee alle tradizioni di Washington. Un breve excursus di quelle passate alla storia è rivelatore: la prima e più famosa è del 1865, la Grand Review of the Armies, che segnò la fine della guerra civile con le truppe unioniste che marciarono lungo Pennsylvania Avenue il 23 e il 24 maggio di quell'anno. Fu organizzata dal Presidente Andrew Johnson per fare appello al Paese ad un mese soltanto dall'assassinio di Lincoln. Quella parata fu seguita negli anni successivi da altre marce di veterani della guerra. Ma si salta poi al 1919, alla World War I Victory Parade, un anno dopo il successo militare. Furono in realtà più parate, sia a Washington che a New York, che segnarono anche il debutto degli Stati Uniti come grande potenza sul palcoscenico globale.
Dalla Seconda guerra mondiale al trauma del Vietnam
Da qui l'attesa è ancora più lunga, fino alla Seconda Guerra Mondiale, nel 1942 e nel 1946. La prima avvenne sei mesi dopo il disastro di Pearl Harbor a New York come azione di solidarietà per le truppe in partenza per il fronte. Nel 1946, per la fine del conflitto, ancora una volta la parata più grande ebbe luogo a New York, in un clima di sollievo e festa ritratto da fotografie passate alla storia. Almeno due inaugurazioni di presidenti ebbero una significativa componente militare, con carri armati e missili in bella vista, in omaggio alla Guerra Fredda: quella di Dwight Eisenhower nel 1953 - il Presidente che avrebbe in seguito denunciato l'eccessiva influenza del complesso militar-industriale - e quella di John Kennedy nel 1961. Altri conflitti, a coinciare dal Vietnam, non si prestarono invece a parate per il trauma che imposero al Paese, un'eredita tuttora pesante. Simile, sobrio sentimento vale per le recenti guerre in Afghanistan e Iraq, dove elusivi risultati e continue tragedie hanno sempre sconsigliato celebrazioni. L'esempio più vicino ai nostri giorni è rimasto così la parata del 1991 per la Guerra del Golfo. Costò 12 milioni di dollari, l'equivalente di quasi 22 milioni oggi, e fu presto dimenticata.
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