ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIl conflitto russo-ucraino

Una pax europea che prefiguri davvero un nuovo ordine

Lo scenario auspicato è quello di un “nuovo ordine europeo” basato su «una rafforzata presenza militare americana» oppure su «un’inedita capacità militare europea». Una prospettiva realistica, corrispondente invero al quadro giuridico già previsto al riguardo dal Trattato di Lisbona

di Ezio Perilli

(EPA)

3' di lettura

Nel suo editoriale di domenica, Sergio Fabbrini s’interroga opportunamente sul dopo-guerra in Europa. Lo scenario auspicato è quello di un “nuovo ordine europeo” basato su «una rafforzata presenza militare americana» oppure su «un’inedita capacità militare europea». Una prospettiva realistica, corrispondente invero al quadro giuridico già previsto al riguardo dal Trattato di Lisbona. L’articolo 42 TUE prevede infatti che l’Unione attui una politica di difesa comune “compatibile” con la politica militare della Nato, “ricorrendo” ai mezzi militari degli Stati membri e istituendo, a tal fine, «un’Agenzia europea di difesa», operativa peraltro già dal 2004.

Ciò detto, ricordo che, dalla fine della seconda guerra mondiale, i sei Stati membri fondatori delle prime Comunità Europee, tra cui potenze militari come la Francia, la Germania e l’Italia, non hanno più conosciuto tra loro guerre fratricide. La loro volontà politica fu infatti quella di smantellare progressivamente le proprie frontiere nazionali organizzando un ordine giuridico-economico di nuovo genere destinato in primo luogo ad assicurare tra loro il mantenimento della pace. Un ordine che fosse, poi, davvero “europeo”, cioè indipendente dai tempi di ripresa economica del Piano Marshall e fondato invece su un sistema di autonoma integrazione economica delle loro comuni risorse.

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Il crollo del muro di Berlino e poi dell’intero blocco sovietico di quel tempo apriranno a questo ancora sperimentale ordine europeo le porte verso l’adozione del Trattato sull’Unione europea (Maastricht 1993) e, alcuni anni dopo, grazie anche alla non ingerenza politico-militare della Russia, verso il grande allargamento ai Paesi dell’Est, finalmente accolti, dopo gli anni bui della guerra fredda, nell’alveo europeo in cui da sempre la storia di questo continente li aveva collocati.

La pace è peraltro l’obiettivo che l’Unione s’impegna di assicurare anche sulla scena internazionale. L’articolo 21 TUE dispone invero che «l’azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali…».

L’Unione europea ha quindi oggi tutte le carte in regola per promuovere, autorevolmente, un’iniziativa che porti almeno alla cessazione provvisoria delle ostilità russo-ucraine, agendo a tal fine da protagonista e non da gregario degli Stati Uniti. L’esito di una guerra combattuta davanti alle nostre porte di casa non può infatti essere lasciato alle aleatorie fortune di una strategia internazionale di logoramento dei contendenti, alimentata da sanzioni economiche a carico dell’una e da armamenti di sostegno a favore dell’altra.

Allora, invece di continuare ad andare, uno ad uno separatamente, a Kiev, i capi di Stato e di governo dell’Unione dovrebbero riunirsi sotto forma di un Consiglio europeo straordinario, convocato in una località da convenire, per aprire un tavolo di dialogo con i presidenti Putin e Zelensky, e ciò allo scopo di avviare il negoziato di un possibile “cessate il fuoco”, da gestire sotto la sola responsabilità dell’Unione europea e dei suoi Stati membri. Spetterebbe ovviamente alla diplomazia europea studiare le opportune condizioni per lanciare utilmente detta iniziativa. Una tregua europea senza né vinti né vincitori, sotto l’egida di un’autorità politica che, come l’Unione europea, non ha un esercito da contrapporre a quelli in conflitto e che ha fatto invece del metodo “disarmato” dell’integrazione comunitaria il sistema vincente per assicurare, ai suoi cittadini, settant’anni di pace e di progresso civile.

Ha quindi ragione Fabbrini quando si prefigura, a guerra finita «un nuovo ordine europeo». Un ordine tuttavia che sia d’integrazione pacifica e non a trazione militare americana o della Nato. Una pax europea che faccia anzi da ponte tra Usa e Russia.

La Russia, che con l’Unione condivide la più lunga frontiera del continente, potrebbe essere associata a questo nuovo ordine, nella forma di un partenariato specifico, come un interlocutore paritario e affidabile, e non come un potenziale avversario da contenere militarmente all’interno delle sue terre. Insomma, se negli attuali equilibri di potere, Russia e Ucraina hanno bisogno delle garanzie politiche ed economiche della confinante Ue, quest’ultima ha bisogno di frontiere che, come quella tra Stati Uniti e Canada, non mettano a repentaglio la stabilità economica e commerciale dei suoi popoli. Certo, sullo scacchiere continentale ci sono anche degli equilibri militari che andranno adeguatamente soppesati. Ma non possono essere la priorità. Parafrasando Clemenceau, direi infatti che la pace nel nostro continente è una cosa troppo seria per essere lasciata nelle sole mani dei militari.

Ex giudice al Tribunale dell’Unione europea

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