ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùL’analisi

Il futuro incerto della coesione, la più grande politica redistributiva

Lo studio Istat sull’efficacia della politica di coesione conferma le valutazioni che negli anni scorsi hanno spinto Bruxelles a parlare di “trappola dello sviluppo”.

di Giuseppe Chiellino

(Ansa)

3' di lettura

Lo studio dell’Istat sull’efficacia della politica di coesione in Italia conferma le valutazioni che, a livello europeo, negli anni scorsi hanno portato la Commissione a parlare di “trappola dello sviluppo”. È la situazione di stallo in cui si trovano molte regioni nei Paesi più avanzati, incapaci di tenere il passo delle regioni che corrono di più, con le quali il confronto si gioca sulla capacità d’innovazione e d’investimenti, e in difficoltà a competere anche con quelle più arretrate perché non c’è storia sul costo del lavoro. Il problema riguarda soprattutto la Francia, ma anche in Italia le cose non vanno bene. Nella mappa della competitività delle regioni europee della Dg Politiche regionali della Commissione Ue, nel 2022 la Lombardia è l’unica regione italiana poco sopra la media Ue. Si piazza al 98esimo posto e per trovare la seconda regione italiana, l’Emilia-Romagna, bisogna scendere alla 128esima posizione. Poi Veneto, Toscana, Lazio e Piemonte e a seguire le altre.

Una questione-Paese

Per tutte, degli undici indicatori che compongono l’indice, il dato peggiore riguarda il livello istituzionale (qualità ed efficienza delle istituzioni, livello di percezione della corruzione e quadro regolatorio generale, supporto alle imprese e apertura al business). I dati di dettaglio sono su Lab24 . Le performance del Mezzogiorno non sorprendono più di tanto. A preoccupare sono soprattutto le regioni del Centro Nord che si allontanano sempre di più dalla media europea, come emerge anche dallo studio Istat.

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Il problema, dunque, non sembra la politica di coesione in quanto tale, ma il tessuto istituzionale e amministrativo del Paese, da Bolzano a Ragusa. Passando per Milano. È per questo che con il Pnrr - il concorrente più forte della politica di coesione - si è scelto di puntare sulle riforme più che sui progetti, e in particolare sul rafforzamento della capacità amministrativa, vero punto debole nell’attuazione di tutte le politiche pubbliche, come proprio la difficoltà nella spesa dei fondi strutturali europei aveva fatto emergere già da tempo. La capacità di attuare le riforme potrebbe fare la differenza, sia per i fondi della coesione sia per il Pnrr. Questo è l’obiettivo. Il percorso, però, sta diventando sempre più tortuoso e accidentato.

Efficacia relativa

Dalla lettura del rapporto Istat tra gli addetti ai lavori emerge anche un’altra considerazione. I numeri vanno letti anche in termini relativi. L’Italia è in assoluto uno dei grandi beneficiari della politica di coesione, ma in termini di aiuto pro-capite riceve un quarto di quello che arriva al Portogallo, alla Repubblica Ceca, o all’Estonia. Per non parlare dell’incidenza degli aiuti rispetto al Pil. Non si può ignorare, dunque, che l’effetto macro economico è diverso. Non solo. C’è da chiedersi dove sarebbe non solo il Mezzogiorno ma anche le altre regioni italiane se non ci fosse stata la politica di coesione europea che sempre più spesso ha sostituito gli investimenti pubblici nazionali anziché sommarsi ad essi, come prevedono le regole europee.

Il Pnrr non sembra l’alternativa

La politica di coesione vale 367 miliardi di euro, un terzo del bilancio Ue e l’Italia è secondo beneficiario, dopo la Polonia. Non esiste altrove una politica redistributiva interstatale di queste dimensioni. Sempre più spesso, però, viene messa in discussione, sia per il metodo sia per i risultati che non possono essere misurati solo in termini di crescita del Pil. Ad essa, inoltre, si continua ad attingere per rispondere alle crisi e dirottare i fondi su altri obiettivi, dal piano Juncker al Covid, dai rifugiati al fondo sovrano per l’industria Ue. In molti Stati membri, Italia compresa, la tendenza è centralizzare la gestione di una politica pensata per le regioni e che dovrebbe partire dalle esigenze dei territori.

Il confronto su cosa diventerà la coesione nei prossimi anni è cominciato da tempo. Cambiare non deve essere un tabù, ma occorre essere consapevoli che si mette mano ad un sistema molto complesso e delicato. E per ora il “modello Pnrr” non ha dato prova di essere l’alternativa giusta.

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