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Una rivincita tra aquile e bandiere: Svizzera-Serbia infiamma ancora il Mondiale

Non solo uno spareggio per la qualificazione: la partita fra gli elvetici e i balcanici rievoca immagini e simboli

di Dario Ricci

Calcio: il mondiale mancato per gioco e valori

4' di lettura

Silenzio. Assoluto. A qualsiasi costo (vedi sanzioni Fifa al riguardo). Per evitare polemiche e tensioni di cui questa partita di calcio non alcun bisogno. Perché basta leggere la classifica del gruppo G per capire che Svizzera (3 punti) - Serbia (1 punto) è di fatto uno spareggio-qualificazione. E perché basta scorrere l’elenco dei convocati elvetici e masticare un minimo di geopolitica per rendersi conto che ogni minima ulteriore potrebbe accendere la miccia e scatenare una reazione a catena, in campo e fuori, difficilmente arginabile.

Simboli

Partita di immagini e simboli, questa Svizzera-Serbia, come del resto lo era già stata quattro anni fa, ai Mondiali di Russia 2018, quando si imposero i rossocrociati. Sì ma a griffare coi loro gol quella vittoria a Kalinigrad furono Granith Xhaka (ora cuore del centrocampo dell’Arsenal, ma a lungo corteggiato dalla Roma e da Mourinho) e Xherdan Shaquiri (un opaco passaggio all’Inter in una carriera in cui ha raccolto le maggiori soddisfazioni col Liverpool), le cui origini albanesi sono evidenti al solo scorrerne appunto i nomi nella formazione ufficiale. Festeggiarono a modo loro, quei gol, Xhaka e Shaqiri. O meglio come li stavano festeggiando magari non a Berna o Ginevra, ma a Tirana o a Pristina, capitale questa del Kosovo a maggioranza albanese che Belgrado ancora rivendica come suo, malgrado il conflitto che tra il 1998 e il 1999 ne sancì l’indipendenza dall’allora Serbia-Montenegro (e a Belgrado sono ancora conservati i palazzi sventrati dalle bombe lanciate dai caccia della Nato, a memoria di quanto accaduto...).

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Festeggiarono, i due, mimando con le mani il volo dell’aquila bicefala, la stessa che campeggia - nera, su sfondo rosso - al centro della bandiera dell’Albania.

Tensioni e sanzioni

Insomma, esplicito allora il riferimento a quanto avvenuto sul campo (di battaglia), in quella guerra alla base dell’emigrazione stessa di molti albanesi e kosovari verso altri Paesi, tra cui la Svizzera stessa. La Fifa intervenne imponendo una multa ai due giocatori: sanzione che a Belgrado giudicarono inadeguata, mentre a Pristina e Tirana venne aperta una sottoscrizione a favore degli stessi Xhaka e Shaquiri!

E che il clima sia tutt’altro che sereno anche stavolta lo ha dimostrato anche e soprattutto quella bandiera esposta nello spogliatoio serbo il 24 novembre, dopo la gara d’esordio persa col Brasile, raffigurante la Grande Serbia (quindi col Kosovo ancora annesso) e l’eloquente scritta «Nessuna resa», dall’evidente e inquietante ambivalenza calcistico politica (e sull’episodio la Fifa ha nel frattempo aperto un’inchiesta).

Prudenza e mutismo

Da qui, l’ovvia reticenza elvetica ad affrontare l’argomento in vista della sfida che deciderà i destini calcistici di rossocrociati e serbi. Non parleranno quindi né Granit Xhaka né Xherdan Shaqiri, né prima né dopo il match.E poco importa se la Fifa prenderà provvedimenti disciplinari (leggasi multe), visto che ciò è contrario ai regolamenti: i dirigenti si sono detti prontissimi a sborsare il dovuto.

Niente politica

«Vogliamo parlare soltanto di calcio», ripete da giorni Pier Tami, direttore delle squadre nazionali. E precisa che Federcalcio elevetica e Federazione serba si sono incontrate la scorsa primavera per favorire la distensione alla vigilia di questa gara fondamentale. «Le implicazioni politiche che potrebbero insorgere attorno a questo incontro non ci interessano», ha ribadito più volte Tami. Il rischio, in caso contrario, è quello di soffiare su un fuoco mai del tutto spento. Xhaka e Shaqiri, infatti, il 22 giugno 2018 non hanno soltanto regalato alla Svizzera un successo fondamentale per l'accesso agli ottavi di finale. I loro due gol, infatti, erano serviti pure a umiliare gli avversari ricordando ai serbi quali fossero le radici etniche dei due goleador. Oggi quindi la scelta del silenzio, sperando che a parlare (e nel modo più consono) stavolta sia solo il campo.

Precedenti

Quanto sta accadendo ai Mondiali in Qatar rimanda ad episodi simili nella storia calcistica recente. Nel 2014 le nazionali di Serbia e Albania si sono affrontate in un match di qualificazione per Euro 2016 a Belgrado. La tensione presente fin dall'inizio della gara si è trasformata in violenza quando nel secondo tempo un drone con attaccata una bandiera nazionalista albanese ha sorvolato il campo da gioco, scatenando la reazione dei giocatori in campo. Ne è scaturita una rissa che ha coinvolto giocatori e tifosi, che costrinse l'arbitro ad interrompere il match.

Altre storie tese

Ma le contrapposizioni balcaniche, durante questo Mondiale, si sono riverberate anche su altri campi da gioco. Domenica 26 novembre, durante il match Croazia-Canada, i tifosi croati hanno esposto lo striscione con scritto: “Knin 95-Nothing runs like Borjan”. Il riferimento è al portiere dei nordamericani Milan Borjan, nato da genitori serbi a Knin, città croata teatro di guerra negli anni '90, e adesso simbolo nazionalista di Zagabria dopo l'importante vittoria militare ottenuta ai danni dei serbi nel 1995, cui segui’ la fuga precipitosa di centinaia di migliaia di civili serbi dalle proprie case. Ecco spiegato il significato dello striscione, cui Borjan ha risposto sollevando verso il settore delle tribune occupato dai supporter croati le tre dita (indice, medio e pollice) simbolo della Chiesa ortodossa e, implicitamente, del nazionalismo serbo. Insomma, dai Balcani soffiano sul mondiale qatariota venti di rabbia e vendetta che speriamo il pallone riesca - almeno stavolta - ad attenuare.


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