«Una scatola magica bella e indescrivibile: tutti i miei romanzi sono nati qui»
Scrivere su un bauletto del XIX secolo, inclinato di 45° gradi, con tutto l'occorrente per trasformare la pagina bianca in un capolavoro.
di Jonathan Coe
4' di lettura
Se dovessi scegliere un oggetto che mi ha accompagnato per tutta la vita adulta, non avrei dubbi. Quando ero molto giovane, negli anni Sessanta, visitare la casa dei genitori di mia madre aveva un fascino particolare. Si erano ritirati a vivere in campagna, contea dello Shropshire nelle Midlands, una delle più belle e meno conosciute d'Inghilterra, una sorta di luogo segreto poco frequentato. Vivevano in una casa isolata, circondata dai campi e da un grande giardino. Le mie visite lì erano un'avventura meravigliosa e misteriosa. Ho scritto di questo periodo della mia vita nel racconto Ivy and Her Nonsense (contenuto nella raccolta Disaccordi Imperfetti, ndr).
La casa dei nonni era piena di oggetti strani ed eccitanti: avevano una pistola, per esempio, mi dicevano che serviva per sparare ai conigli, ma penso che la tenessero come oggetto di difesa. La cosa più interessante era, per me, un bauletto in legno contenente tutto l'armamentario per la scrittura del nonno. Veniva custodito, senza troppe cerimonie, in un armadio dentro una specie di rimessa con il tetto di lamiera ondulata. Stava addossata al fianco della casa. Quella scatola magica non veniva mai usata - anzi era completamente trascurata - ma era di una bellezza indescrivibile. Una sorta d'ingombrante cubo, largo circa mezzo metro, in legno di noce e tempestato di lastre di ottone assai lucide. L'aprivi e s'inclinava, formando una leggera pendenza, perfetta per la scrittura. Conteneva scomparti diversi per le penne, la carta e i calamai e, soprattutto, tre minuscoli cassetti più nascosti che potevano essere aperti solo attivando un meccanismo celato alla vista. Dentro uno di questi segreti c'era un piccolo ritaglio di giornale, ormai piuttosto sbiadito, che informava che la scatola era stata donata a James Kay in occasione del suo ritiro nel 1890. James Kay era il mio bis-bis-nonno. La scatola era un regalo degli operai della sua fabbrica tessile e già all'epoca era un oggetto di antiquariato. Credo che risalga al periodo della Reggenza Inglese, all'incirca ai primi trent'anni del diciannovesimo secolo, e originariamente era appartenuta a un ufficiale dell'esercito che la portava con sé nei suoi viaggi.
Fin da piccolo - dall'età di otto anni - per la mia famiglia ero lo scrittore. Mio fratello era invece lo sportivo, cosa che agli occhi dei miei genitori lo rendeva molto più interessante. Anche a mio nonno piaceva scrivere e questo ci ha legati molto, insieme al comune amore per i libri, in particolare la narrativa umoristica. Morto il nonno, il baule della scrittura è passato a me. Per un po' è rimasto a casa dei miei genitori, ma, quando ho potuto permettermi un appartamento abbastanza grande da avere una stanza in cui potevo scrivere, mi ha raggiunto. Da allora, tutti i miei romanzi, almeno in parte, sono stati scritti a mano sulla graziosa pendenza di 45 gradi di questa reliquia di famiglia.
Non sono uno di quegli scrittori che sentono un forte legame fisico con la pagina o che si commuovono per il suono di una determinata penna stilografica che graffia con il suo pennino la superficie del foglio. Quello che provo quando scrivo sopra questa leggera pendenza non è concreto, è immateriale: sento una forte connessione con il passato. Con mio nonno, prima di tutto, ma anche con me stesso a otto anni, con quel bambino per cui la casa dei nonni nello Shropshire era un viaggio nella foresta incantata. Il che è intimamente collegato con le ragioni primarie per cui ho scelto di essere uno scrittore di professione.
Ad una prima superficiale impressione, i miei libri sono tutti molto diversi l'uno dall'altro, spaziano da temi politici (come La famiglia Winshaw) a romanzi familiari e intimi (La pioggia prima che cada, per esempio). Per me, però, più invecchio, più diventa ovvio che ogni libro rappresenta un tentativo di fare la stessa cosa: catturare il passato, combattere la mia battaglia contro il trascorrere del tempo. Il fatto che questa battaglia sia destinata a essere persa non fa differenza. Anche il mio ultimo romanzo, Io e Mr Wilder, che sembrerebbe un libro su un famoso regista di Hollywood e sul suo incontro casuale con una giovane traduttrice greca, è un tentativo di comprendere la mia ossessione giovanile per questo regista, che ha messo radici proprio mentre la sua carriera e la sua reputazione stavano andando in declino.
Non importa quale sia il soggetto che un pittore sceglie di dipingere, o un regista sceglie di filmare, o uno scrittore sceglie di scrivere: tutti gli sforzi artistici costituiscono, in fondo, l'impegno impossibile, ma necessario, di combattere l'evanescenza della vita umana, di raccogliere qualsiasi frammento fugace di esperienza e dargli una sorta di permanenza. Scrivere con il foglio appoggiato su questo baule ereditato da mio nonno rende questo processo un po' più reale, mi mette in contatto con lui, e con il mio bis-bis-nonno, e tramite lui, con qualsiasi altro ufficiale dell'esercito abbia posseduto questo oggetto, più di duecento anni fa.
Tornando alla mia passione sconfinata per Billy Wilder, ho una piccola raccolta di memorabilia che lo riguardano e che sono particolarmente orgoglioso di tenere accanto a me: la cartella stampa e il materiale promozionale di Fedora, la trasposizione in forma di romanzo del suo film Vita privata di Sherlock firmata da Mollie Hardwick. E soprattutto, incorniciata sul muro del mio studio, la breve lettera che lo stesso Wilder mi scrisse il 7 aprile 1999 e che ho riportato per intero nel mio libro Disaccordi Imperfetti.
Jonathan Coe è uno scrittore inglese, classe 1961, che ha svolto numerose attività, oltre a dedicarsi alla scrittura. È stato insegnante di poesia inglese all'università di Warwick, musicista semiprofessionista, correttore di bozze, giornalista e scrittore freelance. Considerato uno dei più talentuosi narratori inglesi, si distingue per l'originalità dei suoi racconti e lo spirito acuto con cui coglie le contraddizioni della società. È autore di biografie, come quella di Humphrey Bogart e di James Stewart (pubblicate in Italia da Gremese editore), e di racconti e romanzi, tutti editi in Italia da Feltrinelli, fra cui La famiglia Winshaw (1995), L'amore non guasta (2000), Donna per caso (1985-2003), I terribili segreti di Maxwell Sim (2010), Circolo chiuso (2014), Numero undici (2016), Disaccordi Imperfetti (2017), Middle England (2019), che ha vinto il Costa Novel Award come miglior romanzo in grado di raccontare la Brexit. L'ultimo libro pubblicato in Italia, sempre con Feltrinelli, è Io e Mr Wilder (2021).
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