Una stanza tutta per sé: le scelte di una delle più originali designer di oggi
Dall'infanzia in Olanda all'incontro con Le Corbusier, passando per San Paolo in Brasile e l'esperienza a Torino. Linde Freya Tangelder si prepara a presentare una collezione di arredi fluidi e luminosi per il progetto Patronage di Cassina.
di Laura Leonelli
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Che il design fosse uno spazio nello spazio della casa, che fosse in grado di creare una zona privilegiata di senso, di bellezza e di personalità, lo aveva capito fin da bambina, quando si nascondeva sotto il pianoforte a coda del padre, insegnante e concertista di musica classica. Bastava stendere qualche coperta su quella lucente superficie nera, inventare il buio, il calore, il riparo, l'intimità là dove prima correva l'aria, e il gioco era fatto. E al gioco meraviglioso di costruirsi una capanna, a questo primo “io” dentro il perimetro domestico, a questa prima stanza tutta per sé, Linde Freya Tangelder è rimasta fedele anche in età adulta, anche oggi che è una splendida trentacinquenne ed è una delle più originali designer degli ultimi anni, tanto da suscitare l'interesse di Luca Fuso, amministratore delegato di Cassina , che ha voluto conoscerla e iniziare una collaborazione. L'occasione è stata l'avvio in contemporanea del programma Patronage, sostenuto da Cassina, di cui Linde è la prima protagonista.
Parola, azione, orizzonte grande, quello di Patronage richiama alla memoria il mecenatismo rinascimentale e unisce all'impegno di sostenere giovani talenti il piacere di arricchire la collezione, mantenendo fervido lo scambio tra cultura e design. Concretamente Cassina ha seguito la realizzazione dei progetti, elaborati da Linde durante l'esperienza di IN Residence a Torino, curata da Barbara Brondi e Marco Rainò. Progetti di pezzi unici che sono stati oggetto della personale Rooted Flows: Solidified Reflections, presso la Carwan Gallery di Atene e che verranno esposti in autunno nella Valerie Traan Gallery di Anversa. Ulteriore passaggio, la monografia dedicata alla designer olandese, realizzata sempre da Barbara Brondi e Marco Rainò per le edizioni NERO. E gran finale, il lancio alla prossima Milano Design Week della collezione Soft Corners, tre pouf e un tavolino, realizzati da Linde Freya Tangelder per Cassina rimodulando alcuni pezzi di collectible design in un'ottica di produzione in serie.
Prima di avvicinarci a queste creazioni, così architettoniche nella forza e nel carattere dei volumi, così sorprendenti nei giochi di luce che scivolano sulle superfici e le ammorbidiscono, anche quando sono di alluminio, è bello fare un passo indietro e tornare di nuovo all'infanzia. E non solo quando Linde costruiva sedie e tavolini per la sua casa di bambole – «anche oggi i prototipi dei miei arredi sono miniature», racconta la designer nell'intervista esclusiva per How to Spend it – ma quando con un occhio già attento e intuitivo camminava nella splendida dimora dei nonni, a Hummelo, a pochi chilometri dal confine tedesco. E tra quelle stanze osservava, confrontava, sceglieva. «Noi vivevamo a Doetinchem, e la casa dei miei genitori era molto semplice, alla lettera direi, un tavolo era un tavolo di legno di seconda mano, una sedia una sedia, una poltrona una poltrona. A ripensarci forse era una protesta, molto discreta, di mia madre contro i suoi genitori, che invece amavano il design e l'architettura. Mio nonno, che era un ingegnere, mia nonna e mia madre, che allora era una bambina, si erano trasferiti a San Paolo in Brasile per seguire la costruzione di un impianto della Philips», ricorda Linde. «Quando poi i miei nonni sono tornati in Olanda si sono fatti costruire una villa bellissima da un architetto e gli arredi erano un incontro perfetto tra pezzi di antiquariato e design contemporaneo. A me piaceva molto quell'atmosfera e capivo che quelle presenze, anzi quella diversità di presenze, contribuivano a farmi stare bene. Così bene, che oggi la Mama Bear Chair di Hans Wegner, uno dei pezzi preferiti di mia nonna, è a casa mia».
Forse tra quei capolavori c'era anche la LC1 Fauteuil à dossier basculant , oggi nella collezione Cassina I Maestri. Ma quel che è sicuro è che, a un certo punto, i genitori di Linde accompagnano la figlia a vedere una mostra su Le Corbusier a Rotterdam, «e lì ho scoperto una cosa straordinaria, e cioè che un architetto può essere anche un designer, quindi non esistono strade separate, ma un unico cammino, ricco, fluido. È stato un momento importante perché ho capito che non dovevo scegliere». Ascoltando il talento, dando seguito razionale e sentimentale alla passione per il disegno, Linde si iscrive alla Design Academy di Eindhoven, e per il progetto con il quale conclude gli studi sceglie un nome forte, guerriero, Destroyers/Builders. «Era un catalogo di oggetti comuni, che hanno una doppia natura, positiva e negativa, pacifica e violenta, per esempio un coltello, un ago, un ombrello. In realtà, ogni oggetto intorno a noi può essere positivo e negativo insieme. E questa dualità è stata spunto di molte riflessioni, soprattutto sul contorno degli elementi, là dove si concentra di più anche l'azione del tempo», prosegue la designer.
Quando Linde decide di trasferirsi in Belgio, ad Anversa dove vive adesso, porta con sé la ricchezza di queste idee, e nel 2014, battezza il suo studio appunto Destroyers/Builders . Demolendo e costruendo, il confronto con l'architettura si fa più stringente, e dalla selezione e reinvenzione di elementi architettonici, e soprattutto di materiali architettonici, nascono i primi, originalissimi arredi. Due le fonti di ispirazione. Anzitutto l'architetta italo-brasiliana Lina Bo Bardi, e Linde torna a San Paolo, terra di memoria familiare per lei, ed esplora, accarezza, seziona, assorbe edifici come il Museu de Arte de São Paulo, la Casa de Vidro e il centro SESC Pompéia. Modernismo e brutalismo, rapporto fusionale con la natura, il cemento, il vetro, le finestre organiche sui muri che ricordano gli squarci della guerra e che ora invece portano luce e vita: nuove lettere di un nuovo alfabeto. Ma Linde guarda anche a Per Kirkeby, pittore, scultore, poeta danese, autore di grandi installazioni, materia prima il mattone. “Costruiamo sopra le rovine”, dice Kirkeby, “costruiamo nel tempo e contro il tempo”, aggiunge Linde. E la carriera le dà ragione.
Nel 2017, in occasione di Operae, Linde Freya Tangelder presenta il suo Archetyping Daybed, realizzato in otto esemplari, più due prove d'artista. Nel 2019 è nominata Designer of the Year dalla Biennale Interieur in Belgio e, nello stesso anno, insieme al collettivo BRUT , fondato con Bram Vanderbeke, Charlotte Jonckheer e Nel Verbeke, vince lo Henry van de Velde Young Talent Award. La presenza al Fuorisalone 2018 e 2019 non passa inosservata, tanto che nel 2021 arriva per Linde l'invito di IN Residence, una settimana a Torino, in questa città ordinatissima e magica, costrittiva, ma con incredibili vie di fuga, basti pensare alle eresie di Carlo Mollino. Insieme a Barbara Brondi e Marco Rainò, giovani architetti, Linde scopre l'anima più autentica della prima capitale d'Italia, i suoi materiali, che fotografa e cataloga in un immenso carnet di appunti, la pietra, il marmo, il finto marmo, il legno – Noguchi è un altro riferimento obbligato – il vetro cemento, il vetro ossidato dal tempo degli specchi nella casa di Carlo Mollino, e della stessa dimora i paraventi e le quinte.
Naturalmente Torino è anche la sua industria, le macchine, tagli di lamiera, durezza, resistenza, sforzo. E poi Torino è il suo fiume, acqua, riflessi, flusso continuo. E nel flusso dei ricordi, che costruiscono e demoliscono l'esattezza della realtà reinventandola, Linde crea la sua collezione di pezzi a edizione limitata. Sono sculture di alluminio, poltrone a nastro morbidissimo, tavoli che rendono omaggio all'ovale di tante finestre torinesi, e che Linde ha ridotto a un quarto di ovale, e ancora colonne di luce, dove gli elementi di vetro si appoggiano come sassi, come giunture di corpo umano, e ancora piccoli e grandi pouf, che alla stabilità della forma uniscono una straordinaria leggerezza tattile. Ogni arredo è lavorato a mano, e sono ben visibili ed emozionano le tracce del passaggio delle mani di Linde Freya Tangelder, che sabbia, che lucida, che modula la superficie trasmettendole il giusto ritmo perché sappia ascoltare le variazioni della luce. Quando da bambina ti nascondi sotto un pianoforte e chiedi a tuo padre di accompagnarti al sonno tra le note della ninna nanna di Robert Schumann, è tutta un'altra musica nella vita.
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