Una startup italiana che facilita deal globali tra aziende: la storia transatlantica di Opportunity Network
di Marco Valsania
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Saranno ancora poche, ma ci sono. Le startup con radici americane e Dna italiano, vocazione internazionale e promettente crescita. È il caso di Opportunity Network: è stata valutata 165 milioni nel suo ultimo round di finanziamenti, ormai oltre due anni or sono, dai 4 milioni del 2014. Di questo passo, chissà, potrebbe anche ambire a diventare un giorno un “unicorno”, entrare cioè di diritto nel club delle società da un miliardo di dollari. Dalla nascita a New York, all’ombra della Columbia University dove il fondatore Brian Pallas studiava per un MBA, vanta ora una sede operativa a Barcellona, ideale per ragioni di costi e facilità nel reperire personale qualificato e multilingue, un’altra a Londra e una terza ancora e sempre a Manhattan. La sua progressione è visibile non solo nella valutazione ma nel numero dei dipendenti: da uno - l’oggi 32enne Pallas - a 120.
È il nome stesso a suggerire la ragion d’essere della startup: un network di business anziché social. Il progetto fa leva su accordi con grandi banche che comprano il servizio di Opportunity Network e lo offrono ai clienti corporate e ai loro top executives. Il servizio è un incontro tra deal offerti e cercati da aziende che dovrebbero conoscersi e invece non sanno ancora, o almeno non ancora abbastanza, l’una dell’altra. A cinque anni dalla nascita, il controvalore delle operazioni che sono state discusse sulla piattaforma, secondo stime della società, avrebbe raggiunto i 215 miliardi di dollari, con un raggio d’azione che va dagli Stati Uniti all’Europa, dal Medio Oriente al Sudest asiatico e all’America Latina (le aziende cilene con top executive che se ne servono rappresentano il 30% del Pil del Paese).
Molti i casi di successo che Pallas e il suo team citano in questi anni: Michael Tedori ha trovato per la sua azienda statunitense distributrice di materiali plastici e gomma in 196 paesi un nuovo fornitore in un’azienda familiare tailandese. Michele Marzola, chief executive e fondatore di Interceptin, ha legato con imprenditori e investitori interessati ai suoi progetti di ricerca in campo biomedicale. Ancora: Fernando Salvati, managing partner e fondatore di Logosnet, ha trovato partner per lo sviluppo in un segmento per lui strategico, la simulazione avanzata nella medical education. Due aziende liguri di veicoli anfibi, vicine di casa ma all’oscuro una dell’altra, hanno avviato una proficua cooperazione. Di recente Matteo Gambarini, CFO di Punto Azzurro, piattaforma online di vendita al dettaglio, ha trovato una controparte tedesca. E Siro Golin, Ceo della Golin Recycling nel commercio di scarti metallici, ha concluso più d’un accordo commerciale con altre aziende italiane.
«Non stiamo lavorando solo in Italia», spiega il chief executive di Opportunity Network. «Con un business model molto solido, l’azienda ha clienti in 122 paesi ed opera direttamente in 32». Se infatti in patria Opportunity Network ha uno dei principali clienti, Intesa San Paolo, «in Spagna abbiamo un contratto con CaixaBank, in Olanda con ABN Amro, in Cile con Banco BCI, in Russia con Alfa Bank. E questi sono solo alcuni di dozzine di istituti e partner con cui collaboriamo nel mondo. Lavoriamo oggi anche con banche quali UBS che portano grandi investitori nel network».
Il business, più in dettaglio, funziona così: raggiunto un accordo con la banca, che prevede l’acquisto di un pacchetto di abbonamenti alla piattaforma, scattano seminari di training per i gestori dell’istituto affinché si impadroniscano del funzionamento del prodotto per poterlo vendere ai clienti. È la banca stessa a selezionare poi i clienti per i quali lo ritiene utile. Con Intesa, ad esempio, l’operazione ha funzionato in tempi stretti: accordo nell’aprile del 2015, entro l’estate il training, a dicembre erano già migliaia gli abbonamenti venduti.
Gli sviluppi si sono rispecchiati in una conquista di redditività e nell’attrazione di soci. «Abbiamo raggiunto l’attivo dopo un anno e mezzo dal debutto - racconta Pallas -. Nel 2016-2017 abbiamo effettuato la prima significativa raccolta di capitale all’esterno, una decina di milioni, con una valutazione dell’azienda pari a 165 milioni rispetto ai 4 milioni di un anno e mezzo prima. Gli investitori ad oggi sono una cinquantina, tutti grandi nomi, da family offices a una nota società di consulenza. Escludiamo invece fondi di private equity».
La posizione finanziaria, oggi, la considera ormai solida: «Siamo sopra gli standard di società quotate, con cassa sufficiente a coprire in una situazione di stress quasi 12 mesi di costi». E gli orizzonti continuano ad allargarsi: «Abbiamo circa 26.000 utenti, oltre 2.500 sono italiani - continua Pallas -. Assieme alle decine di partner che abbiamo portato a bordo abbiano contatti con circa 100 grandi banche nel mondo: Canada e Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Spagna e Italia, e poi anche Germania, Svizzera, diversi paesi in America Latina, India e Sudest asiatico».
Tutto era cominciato in piccolo. La prima raccolta, di seed money, portò in cassa nel luglio 2014 la cifra di 720.000 dollari da un ristretto gruppo di individui, soprattutto italiani. Pallas ricorda come l’idea originale gli fosse venuta per il desiderio di aiutare il padre, un event organizer con la sua 9:00PM Srl. «Sono stato per 4 anni in azienda con mio padre - spiega - mentre studiavo alla Cattolica economia e gestione dello spettacolo. Poi ho lavorato per BCG per due anni e mezzo e sono stati loro a sponsorizzare il mio MBA a Columbia dove è nato il progetto». Inizialmente voleva connettere family offices, dar vita a una sorta di business club partendo dal network degli studenti di MBA. «Compilavo una semplice e-mail. Sollecitavo offerte o ricerche di opportunità di business, comprese quelle di mio padre, e poi le spedivo a tutti. Ancora oggi si può dire che Opportunity Network ruoti attorno ad una e-mail, ma generata automaticamente e più sofisticata» . Superata la fase amatoriale, per un anno Pallas offrì il prodotto a family offices gobali ma in seguito scaturì l’idea di rivolgersi alle banche. E in poco tempo si è sviluppata la startup che adesso controlla al 60% - ma con il 100% dei diritti di voto - mentre il 20% è in mano ai dipendenti e il 20% a investitori.
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