editorialeRisarcimenti all’americana

Una tappa che ridefinisce i confini del danno

di Andrea Zoppini

(Marka)

3' di lettura

Non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei punitive damages. Questo il principio di diritto espresso in un’attesissima sentenza delle Sezioni unite della Cassazione, con la quale, ieri, la Corte ha risolto affermativamente la questione del possibile riconoscimento, in Italia, di provvedimenti di condanna risarcitoria a contenuto ultracompensativo emessi da autorità giurisdizionali straniere.

In un volume pubblicato nel 1991 avevo sostenuto che proprio le sentenze straniere che condannano ai danni punitivi dovessero essere riconosciute dal nostro ordinamento. Quali espressione della più ampia categoria delle pene private, mi era parso che tali provvedimenti potessero rappresentare una lente d’indagine privilegiata attraverso la quale osservare un processo di ravvicinamento tra i sistemi appartenenti alle diverse famiglie della tradizione giuridica occidentale, e segnatamente quelli di civil law, cui il nostro ordinamento appartiene, e quelli di common law, nel quale l’istituto è stato elaborato.

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La decisione della Cassazione si pone in linea con quella riflessione. All’attenzione della Corte è stato posto, infatti, l’interrogativo sulla compatibilità con i principi fondanti il nostro sistema di una disciplina per la quale il responsabile di un illecito civile sia condannato alla corresponsione di una somma superiore all’equivalente monetario del pregiudizio patito dal danneggiato.

Secondo una consolidata impostazione, in passato sostenuta dalla stessa Corte, ciò appariva incompatibile con la funzione tradizionalmente ascritta alla responsabilità civile, che sarebbe solo quella di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto leso, con il pagamento di una somma di denaro che deve tendere a eliminare integralmente le conseguenze del danno arrecato. Ammettere che la condanna possa essere di ammontare (anche di molto) superiore implica l’accettazione del ruolo regolatorio della disciplina dell’illecito extracontrattuale, che, come ci è stato insegnato da Guido Calabresi, dovrebbe esser focalizzata non già sulla posizione della vittima, quanto, e forse primariamente, su quella del potenziale danneggiante, per il quale il costo del risarcimento dovrebbe esser tale da scoraggiare, ex ante, il compimento di condotte lesive (ed eventualmente a sanzionarne, ex post, l’avvenuta realizzazione).

Fino a oggi, la funzione esclusivamente compensativa della responsabilità civile aveva indotto i giudici italiani a escludere che un provvedimento emesso in altro Stato, ove i danni puntivi fossero riconosciuti, potesse trovare esecuzione nella giurisdizione nazionale.

Con quest’ultima pronuncia, la Cassazione ha, invece, riconosciuto i mutamenti cui l’istituto della responsabilità civile è andato incontro, anche nel nostro ordinamento, negli ultimi decenni. La sentenza si articola, infatti, attraverso il richiamo a una serie di indici normativi che, già nella loro formulazione legislativa, o per come applicati nella prassi giurisprudenziale, paiono idonei a revocare in dubbio che la finalità riparatoria sia davvero l’unica attribuibile al rimedio risarcitorio. Questa trasformazione è stata peraltro accompagnata, negli ultimi anni, da un’intensa produzione della nostra letteratura giuridica, la quale, a più voci, ha ritenuto sempre più auspicabile una rivisitazione del ruolo attribuito al risarcimento del danno, proprio in vista di una maggiore prevenzione e comunque di un più efficace controllo degli illeciti. La tappa di ieri segna un momento molto rilevante: le Sezioni unite hanno esplicitamente escluso che la responsabilità civile italiana sia incapace di aprirsi a scopi diversi da quello compensativo, ritenendo interne al sistema anche la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria. Se, a oggi, tali principi sono stati affermati espressamente con riguardo al riconoscimento interno di provvedimenti resi da giudici stranieri, pare che quest’ultimo passaggio non possa che stimolare, per legislatore e interprete, una rinnovata riflessione sulle traiettorie che potranno di qui in avanti esser assunte dalla responsabilità civile.

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