Unione europea e Covid-19: è tempo di pensare fuori dagli schemi
Le risorse per combattere la crisi possono venire dalla tassazione delle imprese digitali e di quelle petrolifere
di Carlos Closa*, Giorgos Papakonstantinou**, Miguel Poiares Maduro***
5' di lettura
Le decisioni raggiunte all’Eurogruppo del 9 aprile non sono altro che una necessaria e tardiva risposta collettiva dell’Unione e servono a complementare il programma di acquisti di titoli da mille miliardi di euro annunciato dalla Banca centrale europea. Sono, per questo, un compromesso da salutare positivamente, ma che rimane imperfetto e incompleto. Ad esempio, nell’attuale fase di tassi negativi per i titoli pubblici, sarà da vedere quanti governi dell’Eurozona sceglieranno di utilizzare le linee di credito Mes con la condizionalità variabile e lo stigma che vi si collegano.
Soprattutto, quelle decisioni hanno a che fare col finanziamento della gestione della crisi e delle risposte subito necessarie, ma non con il finanziamento della ripresa. Per quest’ultimo aspetto, si è lasciato il campo aperto a più opzioni: con l’Eurogruppo che s’è ripromesso, da ultimo, di lavorare per la creazione di un Recovery Fund. I dettagli non sono noti, ma l’emissione di Eurobond pare esclusa. Una tipologia diversa di “Corona-bond”, invece, non è stata esclusa del tutto; ma sembra chiaro che una soluzione del genere può inverarsi solo facendo i conti con i rischi della mutualizzazione e i timori per la creazione di un ingombrante precedente percepiti da alcuni Paesi.
Per far avanzare il dibattito e per arrivare alla creazione di strumenti politicamente accettabili, è importante concordare anzitutto sui problemi da affrontare, i princìpi da seguire, gli obiettivi politici coinvolti, l’approccio da adottare. In quest’ottica, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha ragione quando raccomanda di non focalizzarsi sui nominalismi. Però anche i numeri, non importa quanto grandi siano (o dovrebbero essere), non sono neanch’essi di per sé sufficienti. Quel che più rileva è identificare cosa sia necessario fare, le risorse necessarie per farlo, e cosa giustifichi l’intervento dell’Unione in materia.
Dunque, prima cosa: definire i problemi. Per mitigare l’impatto della crisi, i Paesi dell’Ue hanno speso il 3% del Pil dell’Unione. Nel frattempo, si prevede che il Pil crollerà a doppia cifra, e con significativa incertezza sulle tempistiche e sul ritmo della ripresa. Per diversi Paesi dell’Ue fortemente indebitati e vulnerabili, ciò si tradurrà in livelli di debito insostenibili, il che metterà quindi a rischio la valuta comune. Inoltre, la natura della crisi e degli interventi statali necessari per affrontarla avrà un effetto dirompente sul mercato interno dell’Ue, distorcendone la concorrenza.
Secondo: i princìpi da seguire. Il principio di solidarietà sancito nei Trattati si attaglia particolarmente bene a una situazione di shock esogeno e simmetrico non causato dalla gestione economica (il che non può far davvero invocare alcun rischio di moral hazard), ma che ha grandi effetti asimmetrici stanti le diverse vulnerabilità dei Paesi. Per di più, vi sono solide argomentazioni economiche per le esternalità createsi in uno o più Stati che non sono in grado di far fronte ai propri debiti in un contesto fatto di tassi di interesse più elevati.
Il principio di equità rivestirà un ruolo altrettanto cardine, poiché il rilassamento delle regole del mercato unico potrà produrre risultati diseguali. La crisi ha un impatto particolarmente negativo sui settori economici che dipendono dalla libera circolazione, ed è giustificato dunque intervenire per correggere e proteggerli. Ma se un simile sostegno sarà lasciato ai soli Stati membri, ciò comporterà un’inevitabile distorsione della concorrenza. Il sostegno degli Stati membri alle proprie imprese varierà notevolmente, come semplice conseguenza delle diverse capacità finanziarie e di bilancio. L’equità, dunque, ha lo scopo di proteggere l’integrità del mercato interno ed evitarvi distorsioni della concorrenza.
Terzo: gli obiettivi politici e l’approccio. Il tipo di problemi da affrontare (livelli di debito insostenibili e protezione dell’integrità del mercato interno) e i princìpi posti in questione (solidarietà ed equità) suggeriscono che l’obiettivo dovrebbe essere una qualche forma di sostegno fiscale centralizzato disponibile per qualsiasi paese che lo richieda. È fondamentale che, almeno in parte, esso consti di sovvenzioni o trasferimenti della Ue piuttosto che di meri prestiti agli Stati, così da non aumentare caso per caso i livelli di debito e così dunque da correggere le potenziali distorsioni della concorrenza.
Da ultimo: gli strumenti da utilizzare. Trasferimenti fiscali una tantum sotto forma di sovvenzioni non possono avvenire tramite prestiti del Mes, stanti i suoi attuali strumenti e la sua struttura di governance. Né il programma di acquisto di titoli della Bce (peraltro critico) può svolgere questo ruolo, se non attraverso la decisione della Bce di mantenere in perpetuo nel proprio portafoglio tali attività (e in tal caso comunque il differenziale tra gli indebitamenti rifletterebbe ancora l’operazione di prestito).
È vero tuttavia che i rischi di implementazione sono effettivamente ridotti al minimo quando si utilizza un’istituzione già esistente, in modo flessibile, in linea con le disposizioni dei Trattati. Ma tale istituzione, a nostro avviso, è la Commissione europea, che può emettere debito in nome e per conto dell’Ue sui mercati, come s’è fatto in passato con il Mes, garantendo con l’attuale bilancio dell’Ue o con nuove risorse.
L’emissione di bond dell’Ue (non obbligazioni emesse congiuntamente dagli Stati membri, ma emesse dalla stessa Ue) è giuridicamente possibile; in effetti, la Commissione l’ha proposta come strumento per finanziare Sure (il programma temporaneo di assistenza a sostegno della conservazione degli attuali posti di lavoro). Dati gli attuali vincoli del bilancio dell’Ue, è necessario tuttavia chiedere agli Stati una garanzia parziale per l’emissione di titoli del genere.
Ma esiste un’alternativa: sfruttare questa opportunità per concordare nuove risorse proprie per l’Ue (se necessario mediante una cooperazione rafforzata). Attualmente, ne scorgiamo due ovvie fonti, ed entrambe raccolgono ampio supporto nelle opinioni pubbliche di tutti gli Stati membri dell’Ue, come suggerito da recenti sondaggi.
La prima è un’imposta sul digitale, uno dei pochi settori che beneficiano della crisi. La seconda è un’imposta sulle emissioni di carbonio: in un contesto di crollo dei prezzi del petrolio, ciò garantirebbe che i relativi prezzi non vadano a deviare le scelte economiche a favore della conservazione di sistemi di produzione e di modelli di consumo basati sul carbonio, e ciò sarebbe peraltro ben in linea con il mantenimento del Green Deal al centro di una ripresa resiliente post Covid-19.
Queste nuove risorse proprie potrebbero quindi essere utilizzate per garantire e creare leva finanziaria sul nuovo debito dell’Ue necessario per sovvenzionare il Recovery Fund. L’implementazione del Fondo potrebbe e dovrebbe inoltre essere declinata così da poter rafforzare lo stato di diritto negli Stati membri.
Questa è una proposta ambiziosa, ma fattibile proprio perché offre soluzioni su più fronti. Non richiede trasferimenti fiscali tra gli Stati membri, ma limita l’impatto dell’attuale crisi sugli Stati carichi di debito. Promuove la solidarietà, ma si fonda sulla garanzia di equità nel mercato interno. Costruisce la base per un bilancio Ue più solido e il finanziamento necessario per un Recovery Fund senza comportare un aumento dei contributi nazionali. E fa tutto ciò promuovendo al contempo i tre punti fondamentali dell’agenda dell’Ue che va oltre Covid-19: regolare l’economia digitale, promuovere il Green Deal e proteggere lo stato di diritto.
*Professore CSIC, Madrid e School of Transnational Governance, Firenze
**Professore, School of Transnational Governance, European University Institute, Firenze, ex Ministro delle Finanze della Grecia
***Direttore, School of Transnational Governance, European University Institute, Firenze ex Ministro portoghese e Avocato Generale alla Corte de Giustizia della Unione Europea
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