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Upskilling, digitale e gamification: la formazione professionale diventa risorsa

Occorre accompagnare i talenti in entrata, occupandosi di trasferire loro la cultura e l’identità aziendale che rimane una componente fondamentale

di Gianni Rusconi

(REUTERS)

3' di lettura

Competenze: intorno a questo termine le occasioni di confronto sono state parecchie (forse anche troppe) in questi ultimi anni e la discontinuità provocata dalla pandemia per quanto riguarda i modelli di lavoro e la necessità di rivedere i processi di gestione delle risorse umane ha ulteriormente acceso i riflettori sulla tematica. Tematica che la Commissione europea ha fatto ufficialmente propria anche con il varo, nel 2016, della VET week (Vocational education and Training, iniziativa finalizzata a valorizzare sotto un unico cappello i progetti di formazione professionale in tutto il Vecchio Continente, un progetto che vede in prima fila network come Enaip Net, il National Contact Point italiano per la settimana della formazione promossa dalla Ue.

Giorgio Sbrissa, che di Enaip Net (nonché di Forma Veneto e della European Vocational Training Association) è presidente, ha provato a riassumere al Sole24ore.com lo scenario che ruota intorno al mondo della formazione professionale, evidenziando innanzitutto come in Italia questa “pratica” sia demandata alle Regioni, con alcune di queste più ricettive e più avanti (circa il 10% degli studenti di scuola superiore del Nord Italia consegue il diploma in istituti professionali) e altre invece meno.

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L’input che arriva dall’Unione europea in tema di sviluppo di nuove competenze, spiega più nel dettaglio Sbrissa, è esplicito e si riflette nella volontà di aiutare le imprese degli Stati membri a diventare le più competitive al mondo nell’ambito del green, e quindi nell’utilizzo degli strumenti digitali per rendere i processi produttivi più sostenibili.

“Per dare sostanza a questo disegno - assicura l'esperto - occorre puntare su competenze miste e incrementate dalle skill digitali, perché innalzare il livello qualitativo della formazione significa creare le condizioni per poter fare l’upgrade del bagaglio di conoscenza dei lavoratori comuni, puntando sulla loro alfabetizzazione digitale. I percorsi di upskilling e reskilling sono oggi vitali proprio perché sta venendo a mancare forza lavoro e i giovani neolaureati non bastano a coprire le esigenze di nuovi profili specializzati in azienda, soprattutto in termini quantitativi”.

Il nodo da sciogliere in Italia, per altro ben noto, sono le lacune strutturali che non permettono di intervenire rapidamente per cambiare le modalità didattiche di un sistema dell’education che presenta per contro molte eccellenze. E invece, secondo Enaip, l’incremento delle capacità logiche e matematiche è necessario da subito, attivando percorsi innovativi di formazione professionale basati su nuovi modelli di interazione e nuove modalità di didattica, puntando su percorsi brevi ripetuti più volte nel corso dell’anno, in grado di sfruttare le logiche della gamification e del gaming based learning e pensati per non incidere sul processo produttivo dell’azienda ed essere facili da recepire per i lavoratori, soprattutto quelli appartenenti alla fascia compresa fra i 40 e i 50 anni, che costituiscono il principale target a cui rivolgere le soluzioni formative.

I fenomeni che hanno caratterizzato gli ultimi due anni, e quindi lo smart working prima e la great resignation ora, vanno interpretati - a detta del presidente di Enaip - rispetto agli insegnamenti che ci ha lasciato la pandemia, e più precisamente il fatto che “alcuni lavori possono essere svolti a distanza” e che vi sono “lavori più oggetto di cambiamento in chiave digitale rispetto ad altre”.

Determinate professionalità, questo l’assunto, necessitano di aggiornamento perché il mondo fisico è cambiato e ha recepito modelli abilitati dalle nuove tecnologie, e per questo i lavoratori dovranno essere necessariamente più digitali e più preparati ad interfacciarsi con i sistemi digitali. Sullo sfondo, i capisaldi della formazione professionale su scala europea si confermano quelli della competitività e dell’inclusione, mentre il principale attore chiamato a recitare da protagonista nel percorso formativo è l’azienda.

“Il tessuto industriale ed economico italiano - conclude Sbrissa - è composto di medie e piccolo imprese e non di grandi organizzazioni, che spesso hanno all’interno centri e tutor dedicati alle attività di learning. Sarebbe auspicabile invece che ogni azienda investa in queste figure educative che vanno ad accompagnare i talenti in entrata, occupandosi di trasferire loro la cultura e l’identità aziendale, che rimane una componente fondamentale”.

L’auspicio, ovviamente, è che i fondi del PNRR possano aiutare a dar vita a un circolo virtuoso per lo sviluppo di competenze dedicate, nel solco di un percorso di formazione professionale che la Commissione europea vede come prima scelta di indirizzo didattico e di sbocco nel mondo del lavoro.


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