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Usa ed Europa: servono cure diverse per combattere l’inflazione

C’è chi sostiene che la normalizzazione dei tassi d’interesse della Bce appare troppo timida rispetto alla necessità di mettere sotto controllo i prezzi

di Marcello Minenna

Trichet: “La Bce agisca per abbassare l’inflazione”

7' di lettura

Nelle ultime settimane il tema del controllo dell’inflazione è entrato prepotentemente anche nel dibattito europeo. La persistenza dello shock energetico e le attese di un prolungato periodo di alti prezzi delle materie prime ed industriali hanno spinto anche il board, in genere cauto, della Banca Centrale Europea (Bce) ad agire: gli acquisti netti di titoli nell’ambito dei vari programmi di acquisto titoli (Asset Purchase Programmes o APPs) saranno terminati anticipatamente e saranno fissati dei paletti temporali per il ritorno a zero dei tassi chiave entro settembre 2022.

Pochi giorni fa il capo-economista della Bce Philip Lane ha fornito qualche dettaglio in più, indicando come probabile un primo rialzo di 25 punti base a luglio, seguito da un secondo rialzo a settembre 2022.

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Rispetto a quanto preventivato a dicembre 2021, si tratta di una notevole stretta: le stime precedenti vedevano gli acquisti netti tramite APPs – ad eccezione del programma pandemico PEPP, già cessato – spingersi fino a fine 2022. Un eventuale rialzo dei tassi di interesse non era programmato prima del 2023.

Ciò nonostante, c’è chi sostiene che il percorso di normalizzazione dei tassi di interesse della Bce appaia ancora troppo timido rispetto alla necessità di mettere sotto controllo la dinamica dei prezzi; soprattutto se si guarda alla decisa stretta monetaria che la Federal Reserve (Fed) ha avviato negli Usa. Quest’anno la banca centrale Usa ha già rialzato i tassi di interesse di 75 punti base. Un ulteriore rialzo di circa 100 punti base è previsto con ragionevole certezza nei prossimi 2 mesi, mentre il mercato si attende per la fine dell’anno un tasso di riferimento al 2,75%, altri 100 punti base in più.

Inoltre la Fed ha iniziato a ridurre in maniera concomitante gli attivi in bilancio, non reinvestendo mediamente 95 miliardi di $ al mese di Treasuries e titoli strutturati Rmbs (Residential Mortgage Backed Securities) in scadenza. Storicamente, si tratta del ritmo di riduzione della liquidità circolante più aggressivo mai tentato dalla banca centrale americana.

A livello globale, siamo di fronte alla conclusione di un’enorme ondata di liquidità che le banche centrali hanno riversato sulle proprie economie a seguito della crisi pandemica (in prospettiva è la più grande: vedi Figura 1). La quasi totalità delle banche centrali è impegnata ora in un ciclo di riduzione della liquidità e rialzo dei tassi di interesse per combattere l’inflazione; la Bce è da considerarsi tra le ultime istituzioni ad uscire dall’onda lunga pandemica.

ATTIVITÀ NEL BILANCIO DELLE BANCHE CENTRALI
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Tuttavia, l’affermazione che l’area Euro debba seguire la Fed in un duro percorso di stretta monetaria non ha nessun fondamento teorico. La nostra area valutaria necessita di un approccio più graduale e maggiormente attento all’impatto asimmetrico che la normalizzazione dei tassi di interesse potrebbe avere su economie e debiti pubblici di Paesi molto diversi tra loro. Ma andiamo con ordine.

Le differenze strutturali: l’inflazione negli Usa

Nonostante un tasso di inflazione c.d. headline all’apparenza molto simile (intorno all’8%), Usa ed Europa hanno una dinamica dei prezzi strutturalmente differente. Innanzitutto, se isoliamo il tasso di inflazione core (cioè depurato dell’impatto dei prezzi dell’energia e dei beni alimentari, vedi Figura 2), quello europeo risulta notevolmente più basso, di circa 2,4 punti percentuali.

TASSI DI INFLAZIONE CORE
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L’inflazione core Usa inoltre sembra avere già raggiunto il picco massimo ed essere avviata ad una fase di decelerazione. L’evoluzione dei prezzi nell’area Euro appare invece ritardata di circa 2-3 mesi rispetto agli Usa.

Grazie ad una decomposizione completa del tasso di inflazione (il Consumer Price Index o CPI) per categoria di beni, otteniamo ulteriori informazioni per caratterizzarne la struttura (vedi Figura 3).

USA - TASSO DI INFLAZIONE ANNUALE
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La dinamica dei prezzi statunitensi risulta dominata dall’andamento dei prezzi dei servizi (barre blu) e dei beni industriali (barre celesti). Ovviamente il rialzo dei prezzi dell’energia (barre gialle) ha avuto un suo impatto, che è stato rilevante in una prima fase nella primavera 2021, ma che poi si è livellato rapidamente. La crescita dei prezzi dei beni alimentari (barre rosse) è stata più graduale, diventando evidente soprattutto negli ultimi mesi.

In sostanza l’aumento dei prezzi Usa è da intendersi prevalentemente come una classica inflazione indotta dalla domanda: nel 2021 la piena riapertura dell’economia e l’effetto delle misure monstre di carattere sia fiscale che monetario hanno stimolato la domanda in maniera fin troppo efficace.

Sul mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione è stato riassorbito a ritmi eccezionali ed in breve si è creata scarsità di manodopera, che favorisce la crescita dei salari. L’offerta, per via dei downsizing degli impianti manifatturieri e del personale, dell’erosione delle scorte dovuta ai lockdown nonché dei problemi alle catene globali di fornitura merci non è riuscita a tenere il passo, causando l’impennata dei prezzi.

La crisi energetica recente, con l’esplosione del prezzo del gas naturale connessa al conflitto russo-ucraino, non sembra riflettersi in maniera significativa sulla dinamica dell’inflazione; infatti i mercati Usa sono protetti dalla disponibilità di gas naturale di produzione nazionale e canadese a prezzi notevolmente più bassi.

In questo contesto, un rialzo consistente dei tassi di interesse è storicamente molto efficace, perché aumenta rapidamente i costi di indebitamento per consumatori ed imprese, raffreddando la domanda di beni e servizi. Allo stesso tempo, le attività finanziarie diventano più attraenti per gli investitori rispetto agli investimenti nell’economia reale.

Le differenze strutturali: l’inflazione nell’area euro

Se si effettua la stessa decomposizione dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Harmonised Index of Consumer Prices o HICP) per l’area Euro, saltano subito all’occhio significative differenze (vedi Figura 4).

AREA EURO - TASSO DI INFLAZIONE ANNUALE
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È evidente come l’evoluzione dei prezzi dell’energia sia dominante nel determinare la dinamica dell’indice. Durante tutto il 2021, complice la ripresa poco convinta causata dalla persistenza delle misure di contenimento pandemico, i prezzi nel settore dei servizi sono rimasti stagnanti. Sono cresciuti i prezzi dei beni industriali ed alimentari, anche se in maniera meno vistosa rispetto agli Usa. Con il passare dei mesi, si è accresciuto invece in maniera abnorme il peso dei prezzi dell’energia, guidato dall’incessante aumento dei prezzi del gas naturale e dell’energia elettrica.

La deflagrazione del conflitto russo-ucraino ha provocato poi un vero e proprio shock energetico che si è riverberato istantaneamente sull’inflazione dell’area Euro. Nell’ultimo mese di rilevazione (aprile 2022), il contributo dei prezzi di carburante ed elettricità rappresentava il 60% della variazione del livello generale dei prezzi.

In un quadro macro-economico così diverso, l’efficacia di una politica di rialzo dei tassi di interesse è obiettivamente inferiore. L’inflazione dell’area Euro non è demand-driven e può essere influenzata solo parzialmente da una crescita dei costi di accesso al credito e da una modifica del costo-opportunità degli investimenti. La componente data dai prezzi dell’energia (le barre gialle) non è cioè comprimibile, se non sul medio-lungo periodo attraverso una riduzione netta dei livelli di attività economica. In altri termini, a parità di obiettivo di riduzione dell’inflazione, la Bce dovrebbe “moderare” la domanda fino a rischiare l’avvio di una vera recessione economica, in un trade-off costi-benefici del tutto sbilanciato.

Il rialzo dei prezzi nell’area euro resta fortemente asimmetrico

Peraltro non è un mistero che l’indice HICP sia determinato dalla ponderazione di dinamiche dei prezzi molto eterogenee su base nazionale. Si osservi a tal fine la Figura 5:

UNIONE EUROPEA - TASSO DI INFLAZIONE
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All’interno dell’area Euro, si passa da un’inflazione del 10% annuo in Spagna al 4,5% a Malta, a fronte di economie che si trovano in differenti fasi della congiuntura economica e con livelli occupazionali assai diversi. Sebbene a livello statistico la dispersione dei tassi di inflazione europei non sia mai stata troppo lontana da quella osservata negli Stati Usa, gli effetti dal punto di vista macro-economico sono stati enormemente maggiori. Ciò è dipeso dalla mancanza nell’area Euro dei meccanismi di riequilibrio di un’area valutaria ottimale, quali una forza-lavoro mobile, una forte flessibilità del livello dei salari ed un meccanismo trasferimento fiscali intra-stato, caratteristiche tipiche dell’economia Usa.

Per evitare effetti di distorsione pericolosi sui mercati immobiliari, del debito pubblico e del lavoro, la dispersione dei tassi di inflazione nell’area Euro dovrebbe essere sempre molto contenuta; questo rende – ovviamente – il compito della Bce molto più complesso.

L’eterno ritorno dello spread: come gestirlo con nuovi strumenti?

Tra gli effetti più immediati del “cambio di passo” della Bce degli ultimi mesi, c’è l’aumento della divergenza tra i rendimenti del debito governativo dei Paesi membri. Intendiamoci: se l’inflazione aumenta, è normale che i tassi di rendimento su qualsiasi tipologia di obbligazioni crescano, dato che è necessario compensare l’investitore del maggiore rischio di svalutazione del capitale investito. Il problema che sta ri-emergendo è che, in un contesto di rialzo generale, i tassi di rendimento dei Btp stanno crescendo comparativamente di più, non solo rispetto ai Bund tedeschi (vedi Figura 6, linea blu) ma anche rispetto ai Bonos spagnoli (area verde chiaro).

SPREAD TRA I RENDIMENTI DEI TITOLI GOVERNATIVI A 10 ANNI ITALIANI, TEDESCHI E SPAGNOLI
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È un problema che conosciamo bene, e che riemerge periodicamente nei momenti di ridotta domanda di titoli da parte della Bce. Negli ultimi anni la Bce è diventata il principale (se non il solo) acquirente netto del debito governativo italiano, fino a coprire durante l’emergenza pandemica del 2020 l’intera emissione di nuovo debito. È da ritenersi inevitabile che l’interruzione di ogni programma di acquisto titoli abbia un impatto più che proporzionale sui titoli più dipendenti dalla domanda Bce, come quelli italiani e greci.

Nel nuovo gergo dell’istituzione monetaria, la divergenza dei rendimenti del debito governativo è ridefinita rischio di “frammentazione”. La sfida per la Bce è dunque quella di controllare tale rischio rispetto all’obiettivo ideale della “curva unica” dei tassi di interesse, in un contesto di progressive restrizioni monetarie.

Lo strumento più adeguato al ruolo rimane il programma pandemico Pepp: sebbene infatti gli acquisti netti siano terminati da mesi, l’enorme ammontare di titoli attualmente detenuti (1.750 miliardi di €, perlopiù bond governativi), impone un massiccio programma di re-investimenti al fine di mantenere costante lo stock. Il flusso di re-investimenti dovrebbe godere della stessa grande flessibilità utilizzata durante la fase acuta della crisi pandemica, in cui vennero acquistati molti più Btp rispetto al debito di altri Paesi e rispetto a quelli che sarebbero stati previsti seguendo il criterio della partecipazione al capitale della Bce (la famigerata capital key).

In sostanza, durante la fase di reinvestimento la Bce potrebbe da un lato ridurre lo stock di titoli tedeschi in bilancio, effettuando de facto un “quantitative tightening”, mentre dall’altro potrebbe – paradossalmente – accrescere gli acquisti di titoli periferici (un quantitative easing silenzioso) per ridurre le pressioni alla frammentazione. Naturalmente, si tratterebbe comunque di uno strumento con una potenza di fuoco ben delimitata, di durata definita (al livello massimo, i reinvestimenti durerebbero fino al 2024) e che richiederebbe il supporto proattivo di una politica fiscale di contenimento intelligente del rapporto debito/Pil.

Dopo oltre 10 anni di bassa inflazione e tassi di interesse a zero, le banche centrali stanno ricalibrando i propri strumenti in un contesto completamente diverso in cui alta inflazione, tassi in rialzo e crisi energetica saranno elementi di background. Si naviga a vista.

Marcello Minenna, Direttore Generale dell’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali


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