5' di lettura
NEW YORK - Alan Krueger è scomparso a 58 anni, suicida, nella sua abitazione vicino all’Università di Princeton dove aveva insegnato per trent'anni, eccezion fatta per quelli, sempre e comunque intensi, passati al governo. Al Dipartimento del Lavoro, al Tesoro, infine quale capo-consigliere economico della Casa Bianca di Barack Obama. Una lunga storia da economista progressista ma senza paraocchi. Da economista del lavoro vicino al lavoro, impegnato nella ricerca empirica. Che si sforzava di capire la sofferenza umana: parlò del dolore e della fatica di chi è disoccupato e deve trovare impiego. Della spirale tra disoccupazione, emarginazione dal mercato del lavoro e abusi di farmaci e droghe (scoprì tra lo shock generale che metà di coloro che sono fuori dalla forza lavoro usano quotidianamente anti-dolorifici). E ancora della soppressione di compensi e carriere provocata dalla diffusione tra le aziende di clausole di non concorrenza per i dipendenti a più bassi salari.
Suo è il termine Curva del Grande Gatsby, coniato negli anni passati alla Casa Bianca, per illustrare e denunciare l’impatto negativo della diseguaglianza, in paesi che ne hanno tanta, sulla mobilità sociale tra generazioni. Una Curva che trasforma gli Stati Uniti in un Paese avanzato immobile, incrinando il mitico sogno americano.
Un altro, persistente mito, lo aveva sfatato fin dagli inizi della sua carriera nei primi anni Novanta: il dogma che stabilire adeguati salari minimi o alzarli costi automaticamente posti e assunzioni. Fece scalpore il suo studio, assieme al collega David Card, che armato di dati concreti e non solo di teorie paragonava ciò che accadeva in due, veri Stati limitrofi -New Jersey e Pennsylvania - tra gente reale - i dipendenti dei fast food. In New Jersey il salario minimo era aumentato, in Pennsylvania era rimasto stagnante. Il New Jersey non ne fu penalizzato.
Da allora il suo impegno, che intrecciava analisi economica e preoccupazioni sociali, non era mai venuto meno. Lo scorso 24 agosto era sulla breccia affrontando un'altra tematica scottante dei nostri tempi: avevo incontrato Krueger al Simposio annuale della Federal Reserve a Jackson Hole, dedicato a nuove sperequazioni e nuovi monopoli e alle loro ripercussioni negative per consumatori e soprattutto lavoratori. Il titolo del suo discorso, che ricevette il posto d’onore al pranzo dei banchieri centrali: Riflessioni sulla diminuzione del potere contrattuale dei lavoratori e politica monetaria - dove vedeva questo fenomeno e l'avvento di colossi monopolistici in settori inediti tra le ragioni degli scarsi miglioramenti salariali nonostante la disoccupazione storicamente bassa, una delle vessanti preoccupazioni anche negli anni di ripresa. Solo pochi giorni fa, infine, ecco un suo intervento a Stanford sulle controverse idee di reddito e opportunità di base universali.
L'ex presidente Barack Obama ha catturato le sue qualità con rara abilità in un messaggio addolorato: «Era più profondo dei numeri su uno schermo o dei grafici su una pagina. Vedeva la politica economica non come un'astrazione teorica ma come un modo per migliorare la vita della persone. Aveva un sorriso perpetuo e uno spirito gentile». Ben Bernanke, ex chairman della Federal Reserve e da sempre collega e amico, ha aggiunto che «sentiremo enormemente la sua mancanza perchè era una persona straordinaria che ha mostrato come la disciplina economica può essere utilizzata per illuminare ogni tipo di aspetto della vita quotidiana».
Krueger era adesso Bendheim Professor of Economics and Public Affairs alla Princeton University. Al governo era arrivato suo malgrado, chiamato e richiamato per le ormai riconosciute abilità. Il battesimo del fuoco l’aveva avuto sotto l’amministrazione di Bill Clinton, invitato dal Segretario al Lavoro di allora Robert Reich, e alla fine aveva giurato a se stesso che non ci avrebbe riprovato. Era invece tornato a Washington con Obama, su appello del Segretario al Tesoro Tim Geithner (avrebbe in seguito raccontato che Geithner lo aveva convinto parlando della necessità di «azioni di grande importanza» per la vita degli americani). Era infine passato a dirigere il Consiglio economico della Casa Bianca. Da queste poltrone la sua influenza si era fatta sentire: è stato tra coloro che più hanno combattuto, nelle trincee della politica economica, la grande crisi del 2007 e degli anni successivi, sfoderando contributi spesso originali.
Ricordano i colleghi, quali l’economista Jason Furman, che quando Obama aveva ad esempio espresso scetticismo sull’efficacia di un piano d’emergenza di crediti d’imposta alle aziende per generare assunzioni in una clima di crescente disoccupazione, Krueger non sfoderò studi e ricerche già pronte o dichiarazioni di qualche top executive. Fece leva su indagini fresche, utilizzando un centro di sondaggi e analisi che aveva creato nella sua Princeton. Interpellò così piccole e medie aziende locali per provare a capire che cosa avrebbero deciso davanti a simili iniziative federali e concluse che il programma avrebbe comunque prodotto risultati soddisfacenti.
Quel centro di ricerca a Princeton - il Survey Research Center - era il prodotto di una autentica rivoluzione empirica nella professione economica e della quale Krueger fu tra i protagonisti fin da quando aveva messo a piede all’Università, nel 1987. Tutt'oggi lo SRC ha quale missione esplicita il sostegno alla “ideazione e realizzazione di progetti di ricerca”, con a disposizione, tra l'altro, strumenti pratici quali sistemi di registrazione digitali, i Pads e una rete di 12 stazioni per interviste telefoniche assistite da computer (Cati), un bibliotecari metodi di ricerca e network di risorse esterne. «Il suo grande dono era quello di essere interessante e credibile allo stesso tempo - ha ricordato Larry Summers, che era stato suo docente prima a Harvard e poi collega nell’amministrazione Obama -. È una delle ragioni per cui ci sono state generazioni che si sono dedicate a esperimenti naturali».
La sua curiosità era diventata leggendaria quanto la sua dedizione e la combinazione lo portava a prendere di petto i problemi più diversi evitando conclusioni facili o prefissate. Nel 1995 aveva ripreso in modo sistematico la sua campagna contro i tabù sul salario minimo nell’influente “Myth ad Measurement: The new economics of the minimum wage”. Nel volume “What makes a terrorist: Economics roots of terrorism” mise in dubbio che la povertà giocasse un ruolo decisivo nell’armare un terrorista. Fece poi i conti con la crisi dell’istruzione in “Education matters” e con la debacle dell’assistenza sanitaria americana. E fu co-autore di “Diseguaglianza in America: quale ruolo per le politiche sul capitale umano?”. Nel suo ultimo sforzo accademico, in uscita a giugno, ha affrontato persino l’economia della musica e più precisamente del rock: “Rockonomics, un tour dietro le quinte di ciò che l'industria musicale può insegnarci per l’economia e per la vita”.
Tra i ricordi più sentiti, forse quello lasciato da Betsey Stevenson, economista dell'Università del Michigan: «L’economia è una scienza sociale e Alan era sinceramente interessato alla componente sociale oltre che a quella scientifica. Voleva capire come stava la gente, come si sentiva, che cosa accadeva loro. È stata la prima persona che mi ha insegnato come non esista nulla di più doloroso per un disoccupato della ricerca d’un lavoro e che non possiamo capire davvero la ricerca d’impiego e la disoccupazione se non ci rendiamo conto di questo fatto». Qualunque siano state le motivazioni del suo tragico gesto di commiato, se mai potranno affiorare, questa sua eredità - fatta di coscienza umana e professionale - appare destinata a rimanere vitale, un appello urgente e permanente a tutti i policymaker.
loading...