Va bene la globalizzazione, ma con valori precisi. Come il made in Italy
Le nostre imprese non esportano solo prodotti ma anche valori di qualità, innovazione, rispetto dei lavoratori e delle comunità in cui operano
di Marco Grumo *
3' di lettura
Gli ultimi eventi hanno fatto capire come “tutto il mondo è Paese”: un fenomeno nato a migliaia di chilometri di distanza è diventato in pochissimo tempo una grave emergenza nazionale e locale. L’economia e i mercati sono interconnessi e di fatto non esiste più il paradigma di una impresa esclusivamente nazionale o locale: anche quella più piccola ha infatti relazioni quotidiane e visibilità globale, ha clienti e fornitori internazionali.
Le imprese italiane ormai vendono, si riforniscono e producono all’estero: sono fenomeni ordinari che fanno parte della normale strategia di tutte le aziende, di qualsiasi dimensione e settore. Nel mercato globale le imprese italiane si trovano a competere con imprese provenienti da ogni parte del mondo sui prezzi, sul servizio, sulla qualità, sulle dimensioni, sui talenti, sulla conoscenza, sulla comunicazione.
Tuttavia nell’arena internazionale le imprese non sono tutte uguali.
In particolare, quelle italiane - incluse quelle piccole e medie - non esportano solo beni e servizi di alta qualità, apprezzati a livello mondiale per affidabilità, creatività e genialità, ma esportano anche valori d’impresa altamente positivi. Per esempio: il valore del lavorare duro, della famiglia, della qualità, della creatività e dell’innovazione, della sicurezza dei clienti e dei prodotti, del rispetto dei lavoratori e delle comunità in cui si opera. Come pure l’attenzione alla solidità economica dell’impresa, alla legalità e al valore fondamentale degli investimenti.
Anche questo è parte del grande valore del made in Italy. Si tratta di aspetti importanti nell'era della competizione globale, basata ancora troppo sul prezzo basso, e ancora troppo poco sulla qualità, sulla sicurezza e sui valori. Questo perché nel mercato globale le imprese, con valori molto diversi tra loro, tendono a confondersi. Infatti ci sono imprese che rispettano i lavoratori e altre che non lo considerano fondamentale; ci sono imprese solide finanziariamente e altre fragili; ci sono imprese che investono e altre che non lo fanno, ci sono imprese che rispettano i territori in cui si inseriscono e altre che li sfruttano; ci sono imprese che rispettano le leggi e la sicurezza dei propri clienti e altre che si atteggiano in modo più opportunistico. Sono soggetti molto diversi che non possono e non devono essere trattati allo stesso modo.
Oggi i problemi non sono più di quantità, ma di qualità. In particolare nei mercati globali competono sostanzialmente tre tipologie di imprese, difficilmente identificabili a “occhio nudo” (specie nel breve termine): le prime, le potremmo chiamare “imprese-agenti sociali”, le seconde, “imprese-titolo” e le terze “imprese-giocattolo”.
Le “imprese-agenti sociali” sono quelle che nascono e si sviluppano nelle comunità e sono rispettose di questi territori, sia quelli di origine che quelli di destinazione. Queste imprese investono perché hanno un orizzonte di sviluppo di medio-lungo temine e non esclusivamente di breve termine, dove evidentemente gli investimenti hanno meno senso.
Le “imprese-titolo” invece sono imprese che valgono solo per il rendimento finanziario (azionario) che generano, tanto che gli investitori danno loro e tolgono fiducia (e quindi capitale) in funzione dei dividendi e dei capital gain offerti. E quando le cose vanno meno bene? L’impresa non viene vista come un’organizzazione vivente (anzitutto di persone), come agente virtuoso dell’economia e della società, bensì come un asset finanziario da ottimizzare secondo un’ottica prevalentemente di breve periodo e spesso anche opportunistico-speculativa: una prospettiva culturale e operativa molto distante dalla nostra tradizione imprenditoriale e proveniente sostanzialmente dai contesti anglosassoni e nord americani.
Le “imprese-giocattolo”, infine, sono quelle che chiudi o vendi quando non serve più. Chiaramente le ultime due tipologie di imprese, a differenza della prima, funzionano e vincono solo nel breve termine, mentre evidenzieranno tutte le loro esternalità negative nel medio-lungo termine. La nostra società e la nostra economia hanno bisogno di imprese virtuose, di qualità e con valori.
Le imprese italiane da sempre mostrano una lunga storia di eccellenza e di civiltà, ricca di valori che devono essere oggi maggiormente comunicati anche sui mercati internazionali, ma anche tramandati, coltivati, preservati e riconosciuti, sia a livello di singola impresa sia di sistema-imprese e di sistema-Italia. Non è un aspetto di poco conto: la società globale ha bisogno di un modello di impresa e di internazionalizzazione differente, da tutelare, diffondere e comunicare. È il made in Italy dei valori oltreché dei prodotti di eccellenza.
* Professore di Economia aziendale e di organizzazione e management delle imprese internazionali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
loading...