Vaccini anti Covid a rischio per 500mila “invisibili”
Sono i senza fissa dimora, italiani e stranieri accolti in strutture collettive, senza documenti o permesso di soggiorno, i cittadini comunitari in condizione di irregolarità, gli apolidi, una parte della popolazione Rom e Sinti
di Rosanna Magnano
4' di lettura
Ci sono circa 500mila persone che vivono in Italia, accanto a noi, ma che rischiano di non accedere alla vaccinazione anti covid. Sono i senza fissa dimora, italiani e stranieri accolti in strutture collettive, senza documenti o permesso di soggiorno, i cittadini comunitari in condizione di irregolarità, gli apolidi, una parte della popolazione Rom e Sinti. Un mondo complesso e variegato di persone “invisibili” da un punto di vista amministrativo che di fatto non hanno un medico di famiglia e hanno comunque difficoltà di accesso al Servizio sanitario nazionale. A porre il problema – i primi di febbraio in una lettera al ministero della Salute e ora al nuovo governo - le associazioni che aderiscono al Tavolo immigrazione e salute (Tis). Una decina di sigle nazionali, tra le quali Caritas, Emergency, Medici senza frontiere, Associazione Studi Giuridici Immigrazione (Asgi), Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (Simm) che chiedono un coinvolgimento attivo su questi temi.
Senza medico di famiglia un diritto impraticabile
“Il diritto al vaccino c'è, ma non è praticabile”, spiega Marco Paggi, avvocato dell'Asgi. “Aver individuato nel medico di famiglia il tramite per l'accesso al vaccino – continua – rischia di tradursi in un ostacolo insormontabile per questa particolare fascia di popolazione. A meno che in ogni Asl non si individui un medico di riferimento per queste persone”. O uno sportello sburocratizzato a cui anche le associazioni possano indirizzare i soggetti socialmente più fragili.
La sfida della flessibilità amministrativa
Da un punto di vista normativo non mancherebbe nulla. Il Piano nazionale vaccini anti covid 19 prevede la vaccinazione di “tutte le persone presenti sul territorio italiano, residenti, con o senza permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 35 del testo unico sull'immigrazione” si legge nelle Faq dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa). E la stessa Aifa prevede un'ampia flessibilità amministrativa, come ricordano le associazioni del Tis, anche in assenza di documenti di identità e tessera sanitaria. Tuttavia il fatto che per prenotare il vaccino bisogna iscriversi a una piattaforma nazionale o regionale, dal proprio medico o in altro luogo, tramite il codice fiscale o la tessera sanitaria, “potrebbe essere un ostacolo discriminante”.
La burocrazia degli homeless
Per i senza tetto, che l'Istat stima essere circa 50mila, spesso italiani, l'iscrizione all'anagrafe con indirizzo fittizio sarebbe lo strumento per uscire dall'invisibilità e avere una tessera sanitaria. “Ma il più delle volte – sottolinea Paggi - le pratiche sono ostacolate dagli stessi uffici anagrafici per motivi di bilancio, per evitare che il Comune debba farsi carico di prestazioni sociali non meglio definite”. Persone marginalizzate quindi e che non possono “restare a casa” per evitare il contagio, neanche in zona rossa. Disuguaglianze che si traducono in un rischio sanitario per loro stessi e per la collettività. E' infatti evidente che gli homeless vanno in giro più di altri, anche in pieno inverno. “E anche se dormono in una struttura prevista dal Piano anti freddo di un comune -conclude Paggi - generalmente dalle nove del mattino alle 21 devono lasciarla e quindi girano per la città. Andrebbero vaccinati in via prioritaria”.
Uno spazio politico nel piano vaccinale
Le associazioni chiedono soprattutto al ministero della Salute di definire in modo condiviso le modalità per raggiungere queste persone in stato di bisogno e di stabilire in quale fase dell'attuale piano vaccinale inserirle. “Il numero di persone in condizione di fragilità per varie motivazioni – spiega Salvatore Geraci, responsabile dell'ambulatorio della Caritas romana alla stazione Termini e per questa iniziativa portavoce Tis - è consistente. E le strutture dell'accoglienza, per gli immigrati, per i senza dimora, per i minori, per le vittime di tratta, che di fatto sono state lasciate sole nella gestione della pandemia, dovrebbero avere indirizzi chiari e uniformi ed essere concretamente supportate dalle Istituzioni. Le modalità per raggiungere queste persone vulnerabili vanno tutte costruite. Si tratta di un mondo complesso e poco conosciuto. Indicazioni dall'alto rischierebbero di essere inefficaci. Le associazioni che lavorano sul campo sono gli interlocutori più competenti. Serve uno spazio culturale e politico per includere nel piano vaccini questa fascia di popolazione vulnerabile che vive accanto a noi e non possiamo ignorare”.
Come rintracciarli, come avvicinarli, come somministrare prima e seconda dose? Alcune regioni hanno sperimentato best practice interessanti di presa in carico della fragilità sociale. “Sono esperienze diffuse a macchia di leopardo. In Piemonte – continua Geraci - esiste istituzionalmente una rete di ambulatori dedicati agli immigrati e alle persone in difficoltà, le Asl Roma 1 e 2 insieme alle associazioni hanno fatto una mappatura delle strutture occupate, la Asl di Foggia si è attivata per un servizio di sorveglianza sanitaria all'interno degli insediamenti spontanei di braccianti che lavorano nelle campagne. Il problema è mettere a sistema queste esperienze altrimenti ci saranno aree geografiche che restano completamente scoperte”.
L'empowerment delle comunità
“Una delle chiavi – spiega Silvia Mancini di Medici senza frontiere (Msf) - è l'empowerment delle comunità”. Msf ha lavorato sull'emergenza covid in diversi palazzi occupati nella periferia romana. Caravaggio, Piazza Pecile, Casal Boccone, Ex La Stampa, Ex Acea, Metropoliz. “Abbiamo coinvolto alcuni referenti delle comunità presenti – racconta Mancini - per organizzare incontri di sensibilizzazione sulle modalità di prevenzione e trasmissione del Covid, per aumentare la consapevolezza e la capacità di risposta nell'eventualità di casi sospetti o confermati. Questa modalità di empowerment insieme ad altre accortezze come la flessibilità amministrativa, l'utilizzo di mediatori culturali e del terzo settore, potrebbe essere, mutatis mutandis, adoperata anche nell'organizzazione della vaccinazione tra questa popolazione, anche per scongiurare soluzioni improvvisate e prese sulla base delle singole volontà amministrative”.
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