Ricerca Covid-19

Vaccini: la «memoria» cellulare persiste nel tempo

Lo studio dell’Università di Siena è tra i primi a caratterizzare la generazione e persistenza a lungo termine delle cellule B, pronte ad attivarsi e produrre anticorpi in caso di incontro con il virus

di Francesca Cerati

2' di lettura

Se gli studi immunologici hanno documentato un costante declino dei livelli anticorpali tra i vaccinati, al punto che si è arrivati a somministrare la terza dose di vaccino nei soggetti più fragili e anziani, quello che ancora non è chiaro è quanto dura l’immunità indotta dai vaccini. Le risposte immunitarie cellulari (cellule B e cellule T) infatti sono più durature, ma fino a che punto proteggono le persone vaccinate contro malattie gravi, ospedalizzazione e morte non è ancora chiaro.

Una prima risposta a questa fondamentale domanda viene da uno studio dell’Università di Siena e dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese appena pubblicato sulla rivista “Frontiers in Immunology”.

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La ricerca - che ha considerato 145 soggetti sani vaccinati con Pfizer nell'ambito dello studio “Immunovac”, promosso da Donata Medaglini, del dipartimento di Biotecnologie Mediche (Dbm) dell'Università di Siena e dell’Uoc Microbiologia e Virologia dell'Aou Senese - dimostra la persistenza della risposta immunitaria di cellule B di memoria specifiche per la proteina Spike del Sars-CoV-2 sei mesi dopo la vaccinazione.

Si tratta di uno studio innovativo che va oltre i dati attualmente disponibili sulla risposta immunitaria ai vaccini contro Covid-19 per lo più correlati alle risposte anticorpali (i livelli di queste molecole in genere aumentano dopo qualsiasi vaccinazione, per poi diminuire “fisiologicamente” mesi dopo).

«I vaccini a mRna contro il coronavirus - spiega Medaglini, promotrice della ricerca - hanno dimostrato elevata efficacia e immunogenicità, ma rimane ancora da stabilire quanto a lungo persista la risposta immunitaria. Buone notizie arrivano dai nostri studi, tra i primi a dimostrare la persistenza a lungo termine di cellule B di memoria, che contribuiscono a fornire una risposta alla domanda aperta sulla durata della memoria immunologica al vaccino Pfizer e sulla possibile necessità e tempistica di ripetute dosi di richiamo di un vaccino Covid-19 in soggetti sani».

«Utilizzando la tecnica di citofluorimetria a flusso multiparametrica e analisi computazionali dei dati - spiega Annalisa Ciabattini, responsabile della facility di citofluorimetria del Dbm - siamo riusciti a identificare e quantificare le singole cellule B di memoria specifiche per la proteina Spike presenti nel sangue dei soggetti vaccinati, queste cellule costituiscono un biomarker determinante per valutare la persistenza a lungo termine di risposte immunitarie efficaci».

«Questi risultati dimostrano che il vaccino Pfizer stimola una persistente risposta di cellule B di memoria, nonostante un progressivo e fisiologico declino dei titoli anticorpali – prosegue Medaglini - Queste cellule sono cruciali per una rapida risposta a un eventuale incontro con il virus, quando saranno infatti riattivate e capaci di produrre una nuova ondata di anticorpi anti Spike».

Le analisi sono in corso anche nei soggetti fragili che, a causa della compromissione immunitaria associata alla loro malattia primaria, all’età o al trattamento farmacologico, sono particolarmente ad alto rischio di malattia Covid-19.

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