Vaccini, obblighi e divieti: prevale sempre l’interesse pubblico
La corte costituzionale non boccia le regole introdotte durante la pandemia
di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani
3' di lettura
Con un unico, stringato, comunicato la Corte costituzionale ha reso noto l'esito di un giudizio che riguardava delicate questioni relative agli obblighi di vaccinazione e investiva nel suo complesso le strategie dello Stato nella lotta alla pandemia. Naturalmente possiamo solo fare qualche previsione, limitandoci a immaginare quello che la sentenza preciserà nel corpo della motivazione. Tuttavia, fin da ora, almeno una considerazione può essere spesa senza troppo timore d'essere smentiti.
Privilegiato l’interesse collettivo
Nel dichiarare in parte inammissibili e in parte infondate le questioni sollevate da cinque uffici giudiziari, i giudici di Palazzo della Consulta sembrano proprio avere confermato le tendenze già emerse in alcuni propri precedenti, nei quali si era a chiare lettere privilegiato l'interesse collettivo alla salute rispetto ai diritti dei singoli, pure assai rilevanti quali l'autodeterminazione o il lavoro.
Le poche righe uscite dall'ufficio stampa non consentono certo di percorrere le anse di quelle che saranno le argomentazioni della Corte e dunque, come ripetono i più saggi tra i commentatori, occorre attendere le motivazioni. Ciò non significa, però, che oltre a intuire quale sia stata una delle ragioni di fondo della decisione, non si possano azzardare altresì alcune riflessioni per ieri, oggi e domani.
Scelte ragionevoli del legislatore
Per il passato, la Corte sembra aver confermato la ragionevolezza delle scelte del legislatore circa l'imposizione degli obblighi vaccinali agli operatori sanitari, qualunque sia la funzione da essi svolta, ovvero che sia o meno a contatto con i pazienti. Allo stesso modo, è stata ritenuta non sproporzionata la norma che escludeva dallo stipendio il personale sanitario e scolastico sospeso dal lavoro perché non vaccinato. Infine, è stata definita non ammissibile una questione proposta dal Tar Lombardia che discendeva dal caso di una psicologa non vaccinata, che non poteva esercitare la professione nemmeno a distanza, perché sospesa dall'ordine professionale.
Alcune questioni potranno anche essere state risolte per ragioni processuali, ma certo la diversità delle vicende portate all'attenzione della Corte, e con esse degli interessi in gioco, lascia intendere che dal punto di vista del giudice delle leggi l'operato del nostro Governo (o forse addirittura dei nostri Governi) nei momenti più difficili della pandemia non sia da censurare. E forse quindi non è del tutto fuori luogo la pur cauta soddisfazione espressa da chi in questi anni ha ricoperto il ruolo, davvero non invidiabile, di ministro della salute.
Pensiamo all'omologo ministro inglese - protagonista di uno scandalo sessuale vissuto in piena pandemia, quando lui stesso invitava a non abbracciare i nonni per non ucciderli – che nei giorni scorsi, deputato in carica, ha annunciato la partecipazione come concorrente a un reality australiano ambientato in una giungla. Noi che spesso pecchiamo di esterofilia, torniamo a rivendicare con qualche orgoglio la prudente razionalità nostrana.
La soddisfazione della comunità scientifica
Un certo quale compiacimento è stato comprensibilmente espresso da scienziati e medici, che possono rivendicare, anche sotto il profilo della armonia con il dettato costituzionale, la correttezza dei suggerimenti espressi, dei comportamenti attuati e dei sacrifici richiesti.
Quali sono invece gli spunti per il presente? Probabilmente uno su tutti: l'emergenza non è tale soltanto perché viene dichiarata con un atto normativo. Lo Stato può intervenire per dettare regole eccezionali, anche tali da modulare il bilanciamento fra i diritti “in gioco” in modo diverso da quello fino a questo momento conosciuto. Il nuovo assetto, tuttavia, deve da un lato essere giustificato da una solida base scientifica e dall'altro non può mostrarsi in contrasto con le scelte di fondo dei Costituenti. Per ricordarne solo un paio: la fiducia nella razionalità e nella laicità della scienza, nonché la circostanza per cui nel contrasto fra un interesse individuale e uno collettivo questo secondo tende a fare premio sul primo.
Insomma, se volessimo parafrasare un grande allenatore del passato: emergenza non è quando arbitro fischia, ma arbitro può fischiare solo quando c'è vera emergenza.
Infine, quali spunti ci portiamo nel futuro? Diremmo soprattutto uno, che ci pare forse il più importante: si è discusso del diritto a non vaccinarsi, ma questo nostro Paese farebbe bene a non dimenticare come il diritto più importante e da salvaguardare sia quello a vaccinarsi, declinazione di un servizio sanitario nazionale che si prende cura e quindi cura chiunque ne ha bisogno.
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