ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùParigi, giorno 6

Valentino, collezione fresca e oltre i cliché. La tribù di Demna sfila da Balenciaga

Tra i nuovi talenti interessanti l’italiana Veronica Leoni, in arte Quira, già finalista dell’Lvmh Prize

di Angelo Flaccavento

Valentino ss 24 (foto Ap)

3' di lettura

La moda che si avvicina alla vita e alle sue imperfezioni, magari levigandole, ma non più teatralizzandole: è questo il portato più evidente di questa tornata di sfilate parigine e della semplificazione o banalizzazione che galoppa.

Sugli aspetti più duri e difficili dell’esistere, sublimati da una tecnica sartoriale sopraffina, Demna ha costruito l’intera estetica di Balenciaga - che questa glorificazione dell’irregolare avvenga all’interno di un marchio di lusso è una perversione perfettamente consapevole. Ugualmente, Demna è interessato al modo in cui gli abiti modellano l’identità, e la percezione della persona. Racconta backstage un episodio di bullismo occorsogli in estate: avendo con il proprio aspetto spaventato a tal punto alcuni avventori di un ristorante del sud della Francia da indurli a chiedere un cambio di tavolo, Demna e il compagno provano a vestirsi come tutti, a conformarsi per un giorno. Esperimento riuscito: nessuno spavento da parte di pavidi passanti, ma, dice «Pur essendo me stesso non mi riconoscevo, avevo vergogna. Non riesco a essere altro che cosí». La sfilata è esattamente questo: la reiterazione di un modo di fare i vestiti e di modellare attraverso essi le identità; una estetica che nasce dalla costruzione e decostruzione dei capi.

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Per sottolineare il messaggio, Demna manda in passerella la sua personale tribù: apre la mamma, chiude BFRND vestito da sposa, e in mezzo ci sono insegnanti, mentori, amici di sempre, e pure una pneumatica Amanda Lepore. È un po’ un vaudeville alla Otto Dix - effetto sottolineato dalle tende di velluto rosso - ma la tipizzazione dei caratteri - soprattutto i reietti in felpa e chiodo, a questo punto superflui - appare sbozzata, da commedia dell’arte, mentre la moda non si muove di un millimetro dal noto, anche se le giacche giganti e acciaccate e gli abiti fatti con le tovaglie di plastica hanno un movimento fresco. Demna questo fa e questo martella, prendere o lasciare. È un autore che reitera il suo peccato originale, ossia il margielismo cui a questo giro aggiunge non poco Gaultier, ma la cui passione per il fare vestiti è autentica. Questo lo salva, anche se la modernità ormai è svanita, anche se l’avere uno stile cosí preciso lo sta affossando per mancanza di ossigeno, per paura di tentare altre strade.

Glenn Martens è altro autore follemente coerente, inventore di forme che moltiplicano le possibilità d’uso, di architetture che collassano e si ricompattano attorno al corpo. Insieme decadente e gaudente, questa stagione Martens attenua gli eccessi e alleggerisce la lingua, trovando un equilibrio che tocca.

Da Valentino, Pierpaolo Piccioli lavora intorno all’idea del vestito che dialoga con il corpo, la pelle, la nudità, rifiutando però lo sguardo oggettificante sulla fisicità femminile e i cliché che ne derivano, e immagina una collezione svelta, semplice e fresca nella quale le forme si intravedono attraverso le volute di altorilievi tessili, spacchi sapienti e una ammirabile assenza di superfluo. È certo una prova ripetitiva, decisamente pensata per la vendita e in parte offuscata dalla potente performance di FKATwigs che accompagna la sfilata, ma rinfranca questo Piccioli dressmaker senza concettismi.

Valentino celebra la libertà del corpo con la sfilata L’Ecole

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Da Ottolinger il corpo è fasciato, avvolto, esaltato da laccioli che iconograficamente ingabbiano, ma metaforicamente liberano. Veronica Leoni, in arte Quira, è in fine una purista complessa, capace di bilanciare rigore e libertà in un segno affatto personale. Tra le nuove voci, una delle più interessanti.

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