ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùAllarme siccità.

Valle d’Aosta, idea mini invasi per risolvere l’emergenza idrica

Cremonese (Arpa regionale): «Manca metà della neve necessaria, difficile recuperare». Carrel (assessore Agricoltura): «Lavoriamo su due fronti, per ridurre le perdite e per l’accumulo»

di Carlo Andrea Finotto

 La produzione di vino di qualità è una delle tipicità della Valle d’Aosta. Probabile la necessità di dover ricorrere alla cosiddetta irrigazione di soccorso

3' di lettura

Foraggio, frutteti, colture orticole, vigneti, allevamenti di bestiame, produzione di latte e fontina: l’allarme siccità in Valle d’Aosta coinvolge l’intero sistema agroalimentare, ma non risparmia neppure la produzione di energia idroelettrica e la fornitura di acqua potabile. Il territorio regionale non fa eccezione in un panorama di crisi che lo accomuna a buona parte del Nord Italia: «Precipitazioni bassissime (a parte nel mese di dicembre) e poi molto caldo: quindi la neve caduta si è quasi tutta sciolta. In più, due anni di fila di criticità rendono la situazione più complicata e generano un forte stress per tutto il sistema» sintetizza Edoardo Cremonese, esperto di cambiamenti climatici di Arpa Valle d’Aosta.

«Lo scorso anno lo stock idrico nivale (vale a dire la quantità d’acqua immagazzinata nella neve in alta quota) ha toccato i minimi da 20 anni: il 50-60% in meno rispetto alla media. Quest’anno va un po’ meglio, con un dato più basso di circa il 50% rispetto alla media, ma dobbiamo fare i conti con la situazione pregressa che non ha consentito al sistema di ricaricarsi» spiega Cremonese.

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Bastano pochi numeri per chiarire quanto lo scenario sia serio: a fronte di una media di 980 milioni di metri cubi di neve accumulata, l’anno scorso ce n’erano 470 milioni, quest’anno 530 milioni.

«Bisogna correre ai ripari al più presto, per questo sollecitiamo l’intervento deciso e il sostegno da parte della politica» afferma Alessio Nicoletta, presidente della Coldiretti regionale, che rappresenta circa l’85% delle aziende del settore iscritte alla Camera di commercio (oltre 1.200 su 1.450) e il 69% della superficie aziendale (42mila ettari su 60mila).

Nicoletta sottolinea come vi siano «già alcuni comuni in difficoltà. La situazione è preoccupante. Tuttavia siamo convinti che la scommessa si possa vincere in modo trasversale, tutti insieme: abbiamo un territorio che si presta alla creazione di piccoli invasi nel rispetto dell’ambiente».

La politica, chiamata in causa, risponde: «Siamo consapevoli del problema e non da oggi» assicura Marco Carrel, da poco insediatosi come assessore regionale all’Agricoltura.

«Stiamo cercando di dare risposte all’emergenza con il coinvolgimento e la collaborazione di tutti i soggetti interessati – dice Carrel –. La strategia attuale è di muoverci in parallelo su due fronti. Il primo, con possibili effetti a più breve termine, è quello di mettere in campo investimenti e azioni per ridurre la dispersione dell’acqua. Il secondo, con un orizzonte temporale inevitabilmente più lungo, è quello di lavorare alla progettazione di nuovi bacini di raccolta».

È questa, probabilmente, la risposta a medio termine per una situazione climatica in cambiamento. Secondo Alessio Nicoletta, «i bacini potrebbero svolgere più funzioni contemporaneamente: immagazzinare l’acqua, contribuire alla produzione di energia anche ospitando pannelli fotovoltaici galleggianti, mitigare l’impatto delle bombe d’acqua sempre più frequenti. Certo che i tempi sono stretti e serve progettualità immediata».

Carrel spiega che il cronoprogramma di riunioni sta procedendo, anche con il coinvolgimento di altri assessorati, a cominciare da quello Opere pubbliche, territorio e ambiente guidato da Davide Sapinet. «In più lavoriamo per aumentare la capacità di investimento dei 176 Consorzi di miglioramento fondiario, che coprono buona parte del territorio regionale e ai quali aderiscono quasi tutti i proprietari di terreni», dice Carrel. Nel frattempo operatori economici, imprese, istituzioni, confidano in una primavera più generosa di precipitazioni per recuperare almeno in parte il gap idrico.

«C’è un po’ di ottimismo, o meglio qualche speranza – afferma Edoardo Cremonese – tuttavia, bisogna essere consapevoli che, sebbene non sia impossibile, è molto difficile recuperare in un mese i 450 milioni di metri cubi di neve che mancano per essere in media: servirebbero precipitazioni quasi da monsone tropicale. In vent’anni non è mai accaduto». Inoltre, con le temperature primaverili più elevate la neve tenderà comunque a sciogliersi prima e più rapidamente. «Non è solo “quanta neve cade” – ricorda Cremonese –, ma anche “quanta ne rimane”. Quella che fonde se ne va, non fa serbatoio in montagna per l’estate, quando ce ne sarebbe bisogno. Dobbiamo immaginare la neve accumulata come fosse una grossa diga, che però si sta svuotando. E quando si è sciolta la neve di accumulo cominciano a fondere i ghiacciai».

Il caldo anomalo di gennaio-febbraio ha alzato la cosiddetta fascia vulnerabile fino a 2mila metri di quota e oltre.

«Senza correttivi rapidi e strutturali – prevede Nicoletta – l’emergenza acqua mette a rischio le tipicità della nostra regione, dalla frutta al vino passando per la fontina, che nel 2022 ha registrato un calo di produzione del 30%».

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