Valorizzazione delle foreste, la priorità e mappare e accorpare le proprietà
Convegno organizzato da FederlegnoArredo per una gestione sostenibile dei boschi in Italia. Risorse e leggi ora ci sono, ma servono strumenti e strutture per consentire alle imprese di pianificare gli investimenti
di Giovanna Mancini
I punti chiave
3' di lettura
Il percorso di costruzione – o meglio ricostruzione – di una filiera economica legata alla gestione e valorizzazione del bosco nel nostro Paese procede tra mille difficoltà, ma procede. E oggi «è a buon punto», assicura Alessandra Stefani, responsabile della Direzione generale dell’economia montana e forestale del ministero dell’Agricoltura, sovranità alimentare e foreste (Masaf).
«Grazie all’approvazione nel 2018 del Testo unico forestale (Tuf) approvato e ai 12 decreti attuativi finora approvati, che ne consento l’applicazione, il concetto di filiera forestale è entrato nel lessico di tutti coloro che si occupano di questo settore, dai proprietari dei boschi alle segherie, dalle imprese della prima lavorazione a quelle della trasformazioni», ha spiegato Stefani, intervenendo ieri al convegno organizzato da FederlegnoArredo (Fla) a Milano proprio su questo tema, che ha messo a confronto le aziende della filiera legno-arredo con le istituzioni nazionali e regionali, oltre ad associazioni e centri di ricerca.
Ridurre l’import di legname dall’estero
I passi avanti fatti negli ultimi anni sono innegabili, a cominciare dalle azioni adottate per creare una base statistica a quelle per formare gli operatori – ma resta ancora molto da fare per dare vita a una filiera industriale integrata in grado di valorizzare gli 11 milioni di ettari di superficie boschiva che ricoprono oltre un terzo (il 36,5%) del territorio nazionale e ridurre così la dipendenza del nostro Paese dal legname importato dall’estero (l’80% di quello utilizzato per l’utilizzo o per la trasformazione industriale).
Tema, quest’ultimo, diventato particolarmente urgente negli ultimi due anni, visto il forte rincaro della materia prima legnosa e dei prezzi per l’affitto di container. Si è compreso che produrre legno italiano è un’attività virtuosa, perché questo consente di promuovere una gestione sostenibile e attiva dei boschi (oggi appena il 18% delle foreste è oggetto di pianificazione e meno del 10% è certificato), prevenendo incendi e rischi idrogeologici, di rendere disponibile una materia prima naturalmente «green», che contribuisce inoltre allo stoccaggio dell’anidride carbonica, e inoltre di creare ricchezza sui territori.
Un’opportunità di sviluppo economico
«Vogliamo avere più legno italiano disponibile – ha detto Alessandro Calcaterra, presidente di Fedecomlegno e delegato Fla alle foreste e certificazioni forestali –. Un legno proveniente da una filiera che sostiene il principio dell’uso a cascata di questo materiale, privilegiando gli utilizzi in grado di creare maggiore valore aggiunto». Inoltre, ha aggiunto Calcaterra, «la cura dei boschi rappresenta anche una grande opportunità di sviluppo economico e sociale per le comunità delle aree montane e rurali, con la possibilità di ricostruire filiere del legno che sono scomparse da decenni a vantaggio di altri Paesi europei. Dobbiamo privilegiare forme di filiera corta e questo richiede uno sforzo collettivo che permetta di incidere su una pluralità di figure, pubbliche e private».
A oggi, secondo le stime di FederlegnoArredo, il settore forestale contribuisce a meno dell’1% dell’economia nazionale, con circa 20mila imprese attive, che contano in media un addetto ciascuna. Il settore delle prime lavorazioni conta oltre 2.300 e 7.800 addetti, per un fatturato di circa un miliardo. Il potenziale di crescita è enorme e il percorso avviato, anche se si riscontrano diverse velocità tra le Regioni (che hanno ampio potere normativo in materia).
Superare l’ostacolo della proprietà frammentata
Gli ostacoli da rimuovere restano tuttavia numerosi, a cominciare dalla carenza di infrastrutture viarie per il trasporto dei tronchi dai boschi alle segherie. per non parlare della mancanza di una mappatura delle foreste italiane, che identifichi le proprietà dei boschi e la loro disponibilità, in modo da rendere possibile, per le imprese, una programmazione degli investimenti, come fa notare Giuseppe Fragnelli, dell’ufficio Normativa di FederlegnoArredo. «Inoltre, il Tuf non può essere applicato fino a che gli enti preposti non fanno una pianificazione delle aree». Non tutte hanno regolamenti in materia. A questo si aggiunge il problema di una proprietà boschiva molto frammentata: la maggior parte (66,2%) è privata ed è fatta di piccolissimi proprietari, a cui spesso è difficile risalire. «È necessario prevedere strumenti normativi per accorpare queste proprietà, anche in maniera forzata, facendo prevalere il principio dell’interesse pubblico su quello privato – osserva Fragnelli –. E poi servono misure finalizzate a favorire l’aggregazione di queste unità».
Anche qui, le azioni non mancano, come ha spiegato Alessandra Stefani: «Abbiamo pubblicato la prima graduatoria per chi ha partecipato al bando per costituire associazioni di proprietari boschivi, che prevede risorse fino a 200mila euro per ciascuna associazione, attraverso fondi Cipes. A breve proporrò alle Regioni di destinare risorse per proseguire questa misura su scala locale». Inoltre, giovedì scorso è stato pubblicato il decreto con le modalità per finanziare i progetti di reti di impresa con 10 milioni di euro previsti dal Pnrr.
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