Vaticano, nel 2022 cambiano i vertici della Cei. L’agenda di Francesco e la politica italiana
Tre (ad oggi) i nomi considerati tra i più probabili: i cardinali Zuppi (Bologna) e Lojudice (Siena), e l’arcivescovo di Modena Castellucci
di Carlo Marroni
I punti chiave
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L'appuntamento è a fine maggio. Quando l'assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana sarà chiamata a rinnovare il presidente: il cardinale Gualtiero Bassetti, alla guida della Cei dal 2018, compie 80 anni e deve lasciare. Per decenni il presidente della Cei è stato nominato direttamente dal Papa – un eccezione, visto che nel mondo è un'elezione da parte della base episcopale – e Francesco aveva preteso una riforma che fosse varata direttamente dai presuli. Riforma “elettorale” che era stata approvata (non senza difficoltà e resistenze): dalla volta scorsa l'assemblea vota una terna di nomi all'interno della quale il Papa sceglie. E così andò nel 2018, con l'indicazione di Bassetti, che era noto essere di gran lunga il preferito di Bergoglio.
I due cardinali favoriti sono romani ex ausiliari del Vicariato
Da quando è stato eletto Papa, Bergoglio ha profondamente cambiato la struttura di guida della Chiesa italiana. I vertici di gran parte delle diocesi principali sono stati rinnovati: ora è attesa a breve la nomina del nuovo arcivescovo di Torino (l’attuale mai nominato cardinale da Francesco), e più in là Firenze. Quali ipotesi sono considerate le più probabili per il nuovo presidente? Da tempo nell'ambiente ecclesiale circolano stabilmente tre nomi: i cardinali Matteo Zuppi (Bologna) e Augusto Paolo Lojudice (Siena) e l'arcivescovo Erio Castellucci (Modena). Tutti e tre sono di nomina bergogliana, e per esperienza e idee in sintonia con la linea pastorale del Papa. Zuppi e Lojudice sono ex ausiliari del Vicariato di Roma con un inizio come parroci di periferia della capitale (il primo con un percorso dentro la Comunità di Sant'Egidio), Castellucci, romagnolo, è un teologo con un percorso di alto livello. I tre nomi sono certamente graditi al Papa, e questo influenzerà le preferenze dei 232 vescovi chiamati a votare, ma è possibile che spuntino degli outsider sia di area progressista che più tradizionalisti (ormai sono pochi e abbastanza defilati).
Nel 2020 lo scontro sulla riapertura post-lockdown delle messe
Certamente il nuovo presidente della Cei – che ha come segretario generale mons. Stefano Russo – dovrà confrontarsi con una situazione dell'Italia politico-istituzionale in fase di forte cambiamento, a partire dalla Presidenza della Repubblica – salvo colpi di scena – e forse del governo, e comunque ci sarà un nuovo Parlamento nel 2023. Sul tavolo non ci sono vere vertenze stato-chiesa, anche se scontri possono scoppiare in ogni momento, come accaduto durante il lockdown del 2020 (memorabile il documento contro il governo Conte sull'esclusione delle celebrazioni religiose dalle riaperture, su cui intervenne direttamente il Papa per chiudere il contenzioso) o sul ricorrente tema dell'Imu. Appartiene ormai al passato lo scontro durissimo contro il Conte I sul decreto sicurezza voluto dal ministro Salvini.
Le pressioni “politiche” della Cei (e della Santa Sede) su eutanasia e ddl Zan
La Chiesa Italiana attraversa una lunga fase di transizione avviata in coincidenza con la fine dell'era Berlusconi e del tramonto dell'influenza del cardinale Camillo Ruini e della sua lunga stagione (avviata nel lontano 1985 nello storico convegno ecclesiale di Loreto dove su sancita la svolta interventista impresa da Wojtyla e attuata da Ruini). Da quel momento è iniziato un processo di normalizzazione dei rapporti con la politica italiana, voluta da Francesco eletto nel 2013 e condivisa dalla nuova classe dirigente, prima Enrico Letta e poi Matteo Renzi. Stagione in cui sono state introdotte legislazioni impensabili fino a pochi anni prima come le unioni civili o il testamento biologico. La Cei sta contestando sia referendum per l'introduzione dell'eutanasia o il ddl Zan (su questo è intervenuta la Santa Sede direttamente, forse anche per una certa assenza della Conferenza, è stato detto), ma è chiaro che gli stop non sono ormai effetto di pressioni ecclesiastiche, ma di dinamiche politiche del tutto autonome.
La svolta di Firenze del 2015: «Basta a ricchezze e potere»
La svolta bergogliana per la Chiesa Italiana viene fatta risalire al 2015 a Firenze, quando il Papa parlando ai vescovi disse chiaramente: «Basta a ricchezze potere» indicando una strada che molti presuli faticavano a intraprendere o anche solo a immaginare. Altre volte è tornato su questi temi: Castellucci, che è anche vice presidente Cei, ha detto che per dare corpo «ad una Chiesa diversa occorre una vera conversione, perché senza si tratterebbe solo di rifacimento esteriore, di un abbellimento». Quindi anche cambiamento strutturale, a livello formativo, di impostazione, di organizzazione, ma soprattutto di evangelizzazione. Di tutto questo si parlerà nel lunghissimo percorso avviato con il Sinodo della Chiesa italiana, avviato nel 2021 e si concluderà nel 2025, con l'anno del Giubileo, evento chiave per il pontificato di Francesco e stress test per la chiesa italiana chiamata a fare da “contenitore” ma anche da “moltiplicatore” dell'evento. A febbraio prossimo il Papa sarà a Firenze per l'incontro dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo, un appuntamento considerato sensibile per il futuro assetto della Cei.
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