Vaticano: lascia il comandante della Gendarmeria Giani per la fuga delle “foto segnaletiche”
La Santa Sede riconosce: non ha responsabilità
di Carlo Marroni
3' di lettura
È la prima conseguenza del nuovo caso interno al Vaticano. Domenico Giani, comandante della Gendarmeria vaticana, lascia l’incarico che ricopriva dal 2006. La decisione era nell’aria già da giovedì scorso ma è andata a maturazione dopo un colloquio dello stesso Giani con Papa Francesco.
Causa della decisione c’è la divulgazione alla stampa - un classico “leak” - di notizie e documenti interni (come un ordine di servizio con tanto di foto “segnaletiche” delle persone sottoposte a indagine) collegati all’inchiesta avviata dopo le presunte operazioni finanziarie effettuate anche all’estero (Londra soprattutto) da alcuni uffici della segreteria di Stato.
Il Papa accoglie le dimissioni del capo
«Volendo garantire la giusta serenità» per il proseguimento delle indagini coordinate al Promotore di Giustizia ed eseguite dal Corpo della Gendarmeria, «non essendo emerso al momento l’autore materiale della divulgazione all’esterno della disposizione di servizio» - riservata agli appartenenti alla Gendarmeria e alla Guardia Svizzera - il comandante Domenico Giani, «pur non avendo alcuna responsabilità soggettiva nella vicenda», ha rimesso il proprio mandato nelle mani del Papa, che ha accolto le sue dimissioni. Giani, 57 anni, aretino, ha servito sotto Benedetto XVI prima e poi con Bergoglio, a fianco del quale appariva in ogni uscita pubblica. Dal ’99 dentro le mura prima come vice e poi come comandante, in precedenza era stato sottoufficiale e poi ufficiale della Guardia di Finanza e poi era stato assegnato ai servizi segreti, al Sisde. Ha condotto nel tempo molte indagini interne, tra cui quelle dei due casi Vatileaks del 2012 e del 2016 (l’indagine in corso sui finanziamenti relativi ad acquisti di immobili e già chiamata, forse erroneamente, Vatileaks-3) e sulle ultime indagini relative a Emanuela Orlandi.
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Bergoglio ha ordinato un'indagine interna
Sulla questione delle foto segnaletiche pubblicate dai giornali sulle cinque persone sospese dal servizio a inizio ottobre, domenica il Papa aveva fatto trapelare tutta la sua preoccupazione, dicendo tramite il portavoce Vaticano Matteo Bruni che la diffusione all’esterno di documenti riservati all’uso interno è «grave quanto un peccato mortale». Per questa ragione ha disposto una inchiesta interna sulla illecita diffusione di un documento a uso interno delle forze di sicurezza della Santa Sede. I cinque, indagati per due denunce dello Ior e del Revisore Generale dello Stato città del Vaticano, risalenti alla scorsa estate, sono: Tommaso Di Ruzza, laico e direttore dell’Aif; monsignor Mauro Carlino, capo dell’Ufficio informazione e documentazione della Segreteria di Stato, storico segretario del cardinale Angelo Becciu, ex sostituto alla Segreteria di Stato; due dirigenti apicali degli uffici della Segreteria, Vincenzo Mauriello e Fabrizio Tirabassi; una addetta all’amministrazione, Caterina Sansone.
«Sono incoraggiato dalla fiducia del Papa»
«Un momento delicato di grande prova personale, ma vissuto interiormente con serenità, incoraggiato dalla fiducia e dal sostegno del Papa» ha detto Giani in un’intervista ai media vaticani, in cui sottolinea la gratitudine al Pontefice che ne ha riconosciuto l’onore, la lealtà e fedeltà. «Vivo questo momento difficile - ha affermato - con la serenità interiore che, chi mi conosce, sa che ha contraddistinto il mio stile di vita anche di fronte a vicende dolorose. Ho dedicato 38 anni della mia vita al servizio delle istituzioni, prima in Italia, e poi per 20 anni in Vaticano, al Romano Pontefice. In questi anni ho speso tutte le mie energie per assicurare il servizio che mi era stato affidato. Ho cercato di farlo con abnegazione e professionalità ma sentendomi, come il Vangelo di due domenica fa ci ricorda, serenamente un “servo inutile” che ha fatto fino in fondo la sua piccola parte».
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