Velocità e precisione: si accendono i motori e si rinnova il sogno di Steve McQueen
Una corsa automobilistica dal Sud al Nord del Messico, una storia che comincia negli anni Cinquanta e arriva fino a oggi, unendo orologi e macchine-mito
di Paco Guarnaccia
3' di lettura
Era il 23 novembre del 1954 e, dopo cinque giorni di corse forsennate, si chiudeva la quinta edizione della mitica e difficile gara automobilistica Carrera Panamericana. A vincere fu un italiano, Umberto Maglioli su Ferrari 375 Plus Pininfarina che, partito da Tuxla Gutierrez (una cittadina al confine con il Guatemala) completò i 3.069,809 km delle otto tappe della competizione per arrivare alla bandiera a scacchi di Ciudad Juarez (a pochi chilometri dagli Stati Uniti) con un tempo totale di 17 ore, 40 minuti e 26 secondi. A completare il podio della classifica generale ci furono l'americano Phil Hill, su Ferrari 375 MM Vignale, e il tedesco Hans Hermann su una Porsche 550 Spyder. Un risultato, questo, che permise a Porsche di raggiungere la vittoria nella categoria fino a 1,5 litri dove alla fine riuscì a piazzare tre vetture ai primi tre posti.
Era stato un successo importante. Da ricordare. Quindi, dal 1954 ad alcune delle vetture dalla dotazione più sportiva di Porsche (la prima fu una 356) oltre alla sigla, venne aggiunto anche il nome Carrera a ricordare quella mitica corsa che, peraltro, dopo il 1954 non si disputò più per decenni. Era nato un mito dell'automobilismo.
Qualche anno più tardi, era il 1962, il trentenne Jack Heuer che all'epoca era alla guida del marchio orologiero che prendeva il nome di famiglia (dal 1985 sarebbe poi diventato Tag Heuer) venne a conoscenza che, fino a qualche anno prima, c'era stata una gara dura e avventurosa come la Carrera Panamericana. In onore della quale diede il nome Carrera all'orologio che lanciò nel 1963. Un modello che puntava sulla resistenza e l'immediatezza della lettura delle indicazioni sul quadrante che Heuer aveva pensato proprio per essere indossato dai piloti. Era nato un mito dell'orologeria.
Due miti dallo stesso nome, dunque. Carrera, corsa in spagnolo. Era probabilmente scritto che Tag Heuer e Porsche, prima o poi, avrebbero dato vita a una partnership ufficiale. Anche in considerazione di tutti i punti di contatto che hanno avuto negli anni nel mondo del motorsport: da Steve McQueen che guidava una Porsche 917 nel film La 24 Ore di Le Mans del 1971 e volle indossare la stessa tuta del pilota della scuderia Porsche, Jo Siffert, con il logo del marchio orologiero, suo sponsor, in bella vista, al comune e recente coinvolgimento dei due marchi nella Formula E fin dalla sua fondazione.
Il primo progetto totalmente realizzato insieme è il Carrera Porsche Chronograph sulla cui lunetta in ceramica nera si possono notare la scritta Porsche in rosso e le indicazioni della scala tachimetrica in bianco. Il fondo del quadrante, in grigio, è stato studiato per avere un effetto che ricordi l'asfalto delle piste da corsa. Nero, rosso e grigio, sono stati colori scelti non a caso, ma sono quelli che rappresentano la casa automobilistica. Sempre sul quadrante, i numeri richiamano quelli del cruscotto dei bolidi tedeschi. Il motore di questo orologio è un Calibre Heuer 02 di manifattura, con riserva di carica fino a 80 ore, la cui massa oscillante è stata rivisitata per sembrare uno dei classici volanti di una Porsche. Se a concorrere nel rendere ancora più bella una vettura è la finitura dei suoi interni, ecco dunque che le cuciture del cinturino in pelle del Carrera Porsche Chronograph sono quelle viste sulle Porsche (esiste anche una versione con bracciale in acciaio). Un orologio che incarna alla perfezione lo stile racing.
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