IL VENEZUELA NEL CAOS

Venezuela, il drammatico crollo di Pil, salari e condizioni di vita

di Ricardo Hausmann

(Reuters)

3' di lettura

In un referendum indetto in modo precipitoso il 16 luglio, svoltosi sotto gli auspici dell’Assemblea Nazionale controllata dall’opposizione per respingere la convocazione da parte del presidente Nicolás Maduro di un’Assemblea costituente nazionale, più di 720mila venezuelani hanno votato dall’estero. Nelle elezioni del 2013 per la presidenza, lo avevano fatto soltanto in 62mila. Il 22 luglio, quando è stata riaperta la frontiera con la Colombia, 35mila venezuelani hanno attraversato il ponte che collega i due Paesi per acquistare alimenti e medicine.

Siamo in presenza di una delle tante brutte recessioni consuete o di qualcosa di molto più grave? Secondo l’Fmi, nel 2017 il Pil venezuelano è sceso del 35% rispetto ai livelli del 2013, ossia del 40% in termini pro-capite. Si tratta di una contrazione più violenta di quella che si verificò durante la Grande Depressione negli Stati Uniti nel 1929-1933, quando si stima che il Pil americano crollò del 28 per cento. La catastrofe economica del Venezuela fa impallidire qualsiasi altra sia mai avvenuta nella storia degli Stati Uniti, dell’Europa occidentale o del resto dell’America Latina. Eppure, queste cifre sottovalutano in maniera esorbitante l’entità del tracollo. La contrazione del Pil (in prezzi costanti) dal 2013 al 2017 comprende il calo del 17% della produzione di petrolio, ma esclude il drastico crollo dei prezzi petroliferi (55%) occorso in quello stesso arco di tempo. Tra il 2012 e il 2016 le esportazioni di petrolio sono precipitate di 2.200 dollari pro-capite, 1.500 dei quali a causa della drastica diminuzione dei prezzi.

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Stiamo parlando di cifre enormi, se teniamo conto che in Venezuela il reddito pro-capite nel 2017 è inferiore ai quattromila dollari. In altri termini, mentre il Pil pro-capite è sceso del 40%, il reddito della nazione, comprensivo dei contraccolpi dei prezzi, è precipitato del 51 per cento. In genere, i Paesi ammortizzano simili shock negativi dei prezzi accantonando denaro nei tempi buoni e utilizzando una parte di quei risparmi o prendendone in prestito altri nei cattivi, così che le importazioni non debbano necessariamente calare tanto quanto le esportazioni. Il Venezuela, però, non ha potuto agire in questo modo, perché ha utilizzato il boom petrolifero per sestuplicare il debito estero. La sfrenatezza nei giorni rosei ha lasciato ben pochi asset da liquidare in quelli grigi, e i mercati non hanno voluto prestare capitali a chi già era fortemente indebitato. Il Venezuela oggi è il paese più indebitato al mondo. Come la Romania sotto il regime di Nicolae Ceauşescu negli anni Ottanta, il governo di Caracas ha deciso di tagliare le importazioni mantenendo costante il servizio sul debito estero, cogliendo di sorpresa il mercato che si aspettava invece una ristrutturazione. Di conseguenza, tra il 2012 e il 2016 le importazioni di beni e servizi pro-capite sono precipitate del 75% in termini reali.

Oltretutto, dal momento che questo calo delle importazioni imposto per ragioni amministrative ha provocato una penuria di materie prime e di prodotti intermedi, il crollo nell’agricoltura e nella produzione manifatturiera è stato ancora più gigantesco di quello del Pil nel suo complesso, e ha ridotto drasticamente di altri mille dollari pro-capite circa i beni di consumo prodotti a livello locale.

Tra il 2012 e il 2016 gli introiti fiscali non derivanti dai prodotti petroliferi sono scesi del 70% in termini reali, e nello stesso periodo l’inflazione galoppante ha provocato un calo reale del 79% nelle passività monetarie del sistema bancario. Inevitabilmente, anche la qualità della vita ha subito un colpo durissimo. Da maggio 2012 allo stesso mese del 2017 il salario minimo è precipitato del 75% (in prezzi costanti). Quantificato in dollari, al tasso di cambio del mercato nero, significa che è sceso dell’88 per cento, passando da 295 dollari al mese ad appena 36.

Se lo misuriamo in termini di calorie più economiche disponibili, nello stesso periodo il salario minimo è precipitato da 52.853 calorie al giorno ad appena 7.005, del tutto insufficiente per sfamare una famiglia di cinque persone. I venezuelani hanno involontariamente perso una media di 8,6 chilogrammi di peso a persona. L’Osservatorio sanitario del Venezuela riferisce che negli ospedali del Paese è stato registrato un aumento di dieci volte nella mortalità dei pazienti ricoverati e di ben cento volte in quella neonatale. Eppure, nonostante tutto ciò, il governo del presidente Nicolás Maduro ha ripetutamente respinto le offerte di aiuti umanitari per la popolazione.

I problemi del Venezuela, tuttavia, non sono soltanto politici. Per affrontare e risolvere la catastrofe economica senza precedenti provocata dal Governo che attanaglia ora il Paese sarà indispensabile l’aiuto concertato di tutta la comunità internazionale.

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