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Venus Williams schianta in due set la speranza britannica Konta e vola in finale

di Alessandro Merli

Venus Williams (AP)

2' di lettura

Trentasette anni e non sentirli. Venus Williams ha schiantato in due set, 6-4, 6-2, in semifinale, la grande speranza britannica Johanna Konta, facendo dimenticare al pubblico di Wimbledon che sul Centre Court aveva vinto l'ultimo dei suoi cinque titoli nel 2008. Il primo era arrivato addirittura nel 2000, quando di anni ne aveva appena venti, inaugurando così il lungo dominio suo e di sua sorella Serena, dodici vittoria fra l'una e l'altra dall'inizio del secolo. L'ultima volta che Venus era stata in finale a Wimbledon, proprio contro Serena, che quest'anno si è dedicata alla maternità, è stato otto anni fa.

Ci ritornerà sabato contro la spagnola Garbine Muguruza che si è liberata in una partita ancor più a senso unico della slovacca Magdalena Rybarikova, che ha portato a casa solo due giochi, chiaramente sopraffatta dall'occasione e dall'ambiente del campo centrale. Questa partita è durata un'ora e cinque minuti, quella fra la Williams e la Konta un'ora e 13. Spettacolo poco, tensione agonistica zero. Muguruza, campionessa l'anno scorso al Roland Garros, dovrebbe essere per la Williams un'avversaria molto più ostica.

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Venus viene a Wimbledon da vent'anni, ci ha già giocato cento partite, ha inchiodato la Konta al centro del campo senza offrirle alcuna angolazione e oggi, come dice Virginia Wade, che vinse il titolo per la bandiera britannica per l'ultima volta, nell'ormai remoto 1977, ha un servizio anche migliore di quello che aveva in gioventù. Contro la maggiore delle sorelle Williams, la Konta non ha trovato soluzioni. Tutto finito al terzo match point. Persino il pubblico di casa si è rassegnato ben presto all'uscita di scena della sua beniamina, come ieri era avvenuto con la sconfitta di Andy Murray, dopo che nei giorni scorsi a Londra avevano sognato addirittura una doppietta.

Altro tennis ci si aspetta domani dalle semifinali maschili. La prima fra Sam Querrey, ultimo americano superstite in campo maschile, e il croato Marin Cilic, in un duello fra “tennisti pivot”, come li chiama Gianni Clerici. Ma soprattutto la seconda, fra un altro campione di longevità, Roger Federer, e il ceco Tomas Berdych, anche lui un lungagnone di oltre 1,90. «Sono tutti molto più alti di me», dice Federer, quasi 36 anni, fingendo di schermirsi. «Dovrò giocare con più varietà di colpi». Lo svizzero deve ancora perdere un set in tutto il torneo, può raggiungere l'undicesima finale, un record. E ha nel mirino l'ottavo Wimbledon e il 19esimo Grande Slam, dopo che ha riaperto la serie nel gennaio scorso all'Australian Open. Non ha scordato – l'età non scalfisce la memoria di Federer, che rammenta ogni punto di ogni partita giocata - che il primo titolo sull'erba londinese è del 2003. Nei quarti ha vendicato la sconfitta dell'anno scorso in semifinale contro il canadese Milos Raonic. Ora vorrà ricordare a Berdych che l'eliminazione per mano del ceco nel 2010 è ancora nel suo libro nero.

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