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Vertis continuerà a investire al Sud anche nel post Covid

La Sgr è pronta per fare un primo closing del Fondo Vertis Venture V scaleup a gennaio-febbraio a 50-60 milioni per poi chiudere a 100 milioni.

di Monica D'Ascenzo

Renato Vannucci e Amedeo Giurazza

3' di lettura

«Non è cambiato assolutamente nulla. Abbiamo continuamente proposte di investimento che arrivano sul nostro tavolo. Quello che è cambiato rispetto al 2019 sono le richieste di molti startupper, che prima si lanciavano su valutazioni stratosferiche mentre ora stanno più con i piedi per terra». Amedeo Giurazza, founder e ceo di Vertis Sgr, è positivo sul l’ecosistema delle start up italiane e sugli investimenti dei venture capital. Certo la cautela è d’obbligo nell’analizzare i piani di sviluppo delle aziende: «Se prima avevi un business plan da realizzare in 5 anni, oggi probabilmente lo stesso risultato viene raggiunto fra 7-8 anni. La crescita è meno ripida e quindi le aspettative rispetto alle exit sono diverse».

Vertis Sgr è nata nel 2007, ma i due fondatori, Renato Vannucci e Amedeo Giurazza, hanno una storia che affonda le radici nella Borsa dei tempi delle grida. Hanno iniziato come procuratori di Borsa negli anni ’80 in due diversi studi di agenti di cambio presso la Borsa Valori di Napoli, poi la costituzione di due Sim, che si sono unite nel 1996 per essere poi cedute nel 2000. Dall’advisory sono passati poi ai fondi chiusi e in questi 13 anni hanno raccolto 2 fondi di private equity che investono solo nel Mezzogiorno per un totale di 55 milioni (7 investimenti realizzati) e 4 fondi di venture capital per complessivamente 110 milioni raccolti e 46 investimenti. Nel complesso in poco più di 10 anni Vertis ha investito 89 milioni di cui il 73% nel Mezzogiorno. E proprio il Sud continuerà nel prossimo futuro ad essere il focus. Anche se per il momento l’attenzione è prevalentemente per le società già in portafoglio: «Da marzo abbiamo rallentato nei nuovi investimenti. Le startup oggi avranno più bisogno di follow on fino all’exit rispetto a prima e l’ammontare di denaro da tenere a disposizione per ogni startup sarà maggiore» sottolinea Giurazza, che aggiunge: «In questa fase postcovid sono emersi nuovi settori di interesse a seguito del cambiamento del comportamento delle persone: palestre online, delivery, e-learning, e-commerce. Sono settori che hanno approfittato del lockdown per affermarsi e si è fatto in 3 mesi il passo avanti che si sarebbe fatto in 10 anni e non si tornerà indietro».

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E il futuro del venture capital si trova in Italia a una svolta importante, secondo Giurazza: «In Cdp Venture Capital ci sono persone di grande esperienza e competenze. Il fatto che abbiano abbondanti capitali disponibili non significa che arriveranno a pioggia a tutti. Grazie al contributo di Cdp Venture Capital tra 2-3 anni l’Italia si avvicinerà decisamente alle dimensione degli investimenti in startup degli altri Paesi europei».

Certo per compiere il salto mancano ancora all’appello alcuni soggetti che potrebbero fare la differenza: «Fondi pensione, casse di previdenza, fondazioni bancarie e compagnie di assicurazione guardino il venture capital italiano con meno diffidenza rispetto a prima e si decidano ad investire maggiore risorse in questa asset class» è l’esortazione che viene dal ceo di Vertis Sgr.

E Vertis Sgr a quel futuro sta già lavorando: «Siamo già pronti per fare un primo closing del Fondo Vertis Venture V scaleup a gennaio-febbraio a 50-60 milioni per poi chiudere a 100 milioni. Abbiamo già 40 milioni di commitment. Oggi facciamo operazioni da 3 milioni, con il nuovo fondo faremo investimenti un po’ più tondi di 7-8 milioni» commenta Giurazza. Intanto la Sgr può già fare un primo bilancio con 56 investimenti all’attivo, di cui 10 exit e 10 write off. Oggi in portafoglio aziende come Optimares di Latina, Cogisen di Napoli, Milkman (che ha chiuso nel l’aprile scorso un nuovo round di 25 milioni, con l’ingresso di Poste Italiane), la fintech Credimi e VrMedia spin-off del Laboratorio di Robotica Percettiva della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.

Un ultimo pensiero di Giurazza va alle exit: «Molte delle exit italiane andranno all’estero perché in Italia non c’è ancora la cultura aziendale di acquisire startup per acquisire innovazione. È un peccato che capitali raccolti da investitori italiani vengono investiti in startup italiane che poi portano le loro innovazioni allestero con l’acquisizione da parte di corporate straniere. Bisognerebbe creare incentivi fiscali di lungo periodo per le aziende che fanno investimenti in startup italiane».

***Settimo di una serie - La prima intervista, a Elizabeth Robinson e Davide Turco (Indaco) è del 15 aprile, la seconda a Claudio Giuliano (Innogest) il 28 maggio, la terza a Angelo Moratti (Mip) l'11giugno, la quarta ad Andrea Di Camillo (P101) del 25 giugno, la quinta a Gianluca Dettori (Primomiglio) è del 3 luglio, la sesta a Massimiliano Magrini (United Ventures ) del 15 luglio.

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