Viadotti a rischio, le intercettazioni che imbarazzano Autostrade
Autostrade per l’Italia avrebbe continuato a mettere in secondo piano la sicurezza anche dopo il crollo del Ponte Morandi. E in posti chiave c’erano ancora indagati e imputati che hanno fatto carriera. Solo negli ultimi mesi sta cambiando qualcosa
di Maurizio Caprino
6' di lettura
«Non è possibile una superficialità così spinta dopo il 14 agosto, vuol dire che la gente coinvolta non ha capito veramente un c...». Sta in questa frase il sospetto più terribile che nasce dalle intercettazioni della Guardia di finanza di Genova nell’inchiesta - che ieri ha visto i primi arresti - sulla sicurezza strutturale di sei viadotti di Autostrade per l’Italia (Aspi), nata da quella sul crollo del Ponte Morandi (appunto del 14 agosto, del 2018).
Leggerezze sorprendenti
Quella frase è lo sfogo di Andrea Indovino, dipendente dell’ufficio controlli strutturali della Spea, la collegata di Aspi che si occupa di progettazioni e controlli. Siamo poche settimane dopo la tragedia di Genova e Indovino pare intendere che neanche quella e la conseguente attenzione spasmodica di magistratura, media e opinione pubblica abbia cambiato un modo di operare consolidato.
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Prassi consolidate e tornaconto economico
È lo stesso modo che pare emergere da altre intercettazioni: quelle che giacciono da anni al Tribunale di Roma (il processo stenta a partire) sui crolli di pensiline di caselli e portali segnaletici e su problemi a cavalcavia. Tutto opera di un’impresa in odor di camorra, cui Aspi affidò molti lavori, in un clima simile a quello di cui si lamenta Indovino. Con una differenza fondamentale: qui siamo tra in 2012 e il 2014, quando l’immagine di Aspi era ai massimi e metterla in discussione era molto difficile.
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Una conferma viene anche dagli atti di Genova, in cui ci sono anche intercettazioni che risalgono al 2017 perché uno degli indagati all’epoca registrava le sue conversazioni. Tanto che il gip, Angela Nutini, chiosa: «La logica di un simile generalizzato comportamento sembra da ricondurre a uno spirito di corpo aziendale, probabilmente motivato dal tornaconto economico».
Così, per esempio, si sente Michele Donferri Mitelli, all’epoca direttore delle manutenzioni di Aspi, reagire a chi gli diceva che i difetti di alcuni viadotti erano di una certa gravità (voto 50 su 70): «Adesso li riscrivete e fate Pescara a 40...perché ti ho detto il danno d’immagine è un problema di governance». Di rincalzo, interviene tale Gianni (forse Gianni Marrone, arrestato ieri): «la realtà dei voti la so...che è sottostimata...la so, ma non lo so da adesso, la so da parecchio».
Sempre nel 2017, sempre Donferri pare giustificare certi risparmi anche con l’ingresso in Aspi di nuovi investitori: «Devo spendere il meno possibile...sono entrati i tedeschi e a te non te ne frega un cazzo, sono entrati cinesi...devo ridurre al massimo i costi...e devo essere intelligente de porta’ alla fine della concessione...lo capisci o non lo capisci?».
Evitare i test impegnativi
Il 1° settembre 2017 Donferri redarguisce un interlocutore: «Che cazzo te ne frega di dire che quello è un intervento di natura strutturale...perché di fatto lo è, ma non lo dite». Pare di capire che queste parole indichino una questione importante, una prassi seguita anche per il progetto di rinforzo degli stralli del Ponte Morandi che si stava preparando al momento del crollo.
Forse Donferri voleva far classificare alcuni lavori come intervento di natura locale e non strutturale. Significa lavori leggeri, che non incidono sulla capacità di un’opera di restare in piedi e per questo non richiedono al loro termine una prova di carico (una serie di mezzi pesanti messi sopra la struttura) che rischi di far emergere problemi.
Dopo il crollo del Ponte Morandi
Ora, i brani delle intercettazioni possono sempre essere fuorvianti. E chi conosce Donferri sa che ha un modo di esprimersi romanesco e colorito. Ciò non toglie che si possano avere dubbi, se non altro perché certe prassi sembrano confermate anche dopo la tragedia del Ponte Morandi, come emerge da un’altra intercettazione tra Marrone e Luigi Vastola (all’epoca responsabile operativo della Spea di Bari) che induce il gip a osservare come far passare per locali interventi strutturali «non sia l’eccezione bensì la regola».
A ottobre 2018, viene autorizzato il transito di un trasporto eccezionale da 141 tonnellate. Indovino dice: «...siamo tutti consapevoli che nessuno ha fatto la Tac a quel viadotto...è un viadotto che ha delle problematiche...». Ma aggiunge che la cosa è stata caldeggiata dalla direzione di tronco di Genova e «in prima persona» da Antonino Galatà (il ceo della Spea) «dicendo che questo transito qua su Genova era un caso strategico, le penali erano assurde». Dunque, si sarebbe fatta una forzatura per non essere inadempienti, per giunta verso un cliente che Indovino definisce «un mittente pesante» per motivare al suo capo la sua volontà di fare tutto il possibile.
Imputati che fanno carriera
Sembra un ulteriore esempio di spirito di corpo aziendale cementato dal tornaconto economico. D’altra parte, già dalle intercettazioni del 2012-2014 e ancora fino a pochi mesi fa, la gestione del personale nel gruppo sembrava premiare chi più fedelmente si adoperava per risolvere problemi nel modo più riservato ed economico possibile. A prescindere da norme e princìpi di sicurezza.
Prendiamo le carriere di Paolo Berti e Gianni Marrone, condannati in primo grado ad Avellino per la strage del bus caduto il 28 luglio 2013 dal viadotto Acqualonga (40 morti) per cedimento della barriera new jersey.
Berti all’epoca era in direttore del tronco di Cassino. Ad agosto 2018, Berti si ritroverà indagato anche per il crollo del Ponte Morandi, in qualità di direttore operations (praticamente il numero tre dell’azienda). Il giorno della condanna è stato spostato a fare il direttore acquisti nella collegata Aeroporti di Roma. Nelle intercettazioni di Genova lo ritroviamo lamentarsi dopo la condanna di Avellino, perché - scrive il gip - avrebbe potuto dire la verità e così mettere nei guai altre persone. Il tutto davanti a un interlocutore che gli consiglia di «stringere un accordo col capo».
Marrone nel 2013 era responsabile dell’ufficio traffico del tronco di Cassino. Il fatto di essere prima indagato e poi imputato nel processo di Avellino non ha impedito che fosse promosso direttore di tronco, fino a pochi mesi fa. Era l’unico tra i nove direttori di tronco di Aspi a non avere la laurea. Nelle intercettazioni di Genova lo ritroviamo a insistere con altri colleghi per aggiustare alcune situazioni e a essere apprezzato per avere conoscenze al Genio civile.
Solo negli ultimi mesi, sotto la pressione delle indagini che si moltiplicano e vengono portate avanti con più determinazione di quelle precedenti, qualcosa pare cambiare. Se non altro per poter dichiarare alla magistratura che l’azienda ha preso alcune contromisure.
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Si rischia però il cortocircuito. Ieri il cda della capogruppo Atlantia, guidata da Fabio Cerchiai e Giovanni Castellucci, di fronte alle notizie che venivano da Genova, ha deliberato l’«avvio immediato di un audit sui fatti emersi, da affidarsi a primaria società internazionale». Dunque, un’indagine interna affidata a terzi su Spea e Aspi. Al vertice di quest’ultima fino allo scorso inverno c’erano gli stessi Cerchiai e Castellucci.
Indagini ostacolate
A fine gennaio Castellucci è stato sostituito da Roberto Tomasi, prima direttore generale. In quegli stessi giorni, Marrone riferisce a Tomasi di non aver consegnato al ministero delle Infrastrutture né alla magistratura tutta la documentazione di cui disponeva sul ponticello Paolillo, tra gli oggetti dell’inchiesta genovese sui sei ponti a rischio (che ora non lo sono più, perché sono stati eseguiti lavori e talvolta limitato il traffico): «Noi non gliel’abbiamo data ieri, perché, sai, tu non puoi scoprire tutte dargli tutto».
Dall’ordinanza di misure cautelari del gip emergono anche vari tentativi di ostacolare le indagini. Il magistrato la definisce una «filosofia»: dall’ufficio legale che istruisce i dipendenti prima degli interrogatori su cosa dire e cosa no, all’uso di jammer per disturbare le intercettazioni.
Autostrade per l’Italia : sospesi i due dipendenti
Autostrade per l'Italia «nella giornata di ieri, subito dopo essere venuta a conoscenza dei provvedimenti cautelari emessi dalla magistratura nei confronti dei due dipendenti coinvolti nel procedimento di falso sui
viadotti Pecetti e Paolillo sulla base di intercettazioni risalenti a circa un anno fa, ha deciso di sospendere i dipendenti medesimi con effetto immediato, provvedendo alla loro sostituzione». Lo si legge in una nota della società. Un consiglio di amministrazione di Aspi è stato convocato in via straordinaria per lunedì. Il cda, precisa la nota, «valuterà ulteriori iniziative a tutela della società».
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