nel punto più trafficato

Viadotto «a rischio», tangenziale di Napoli vicina alla paralisi

Da sabato 19 ottobre sul viadotto Capodichino si viaggia a due corsie e c’è il divieto per i mezzi pesanti: non si rischiano crolli, ma per gli ispettori Mit occorrono lavori urgenti. È l’ultima puntata della telenovela sui viadotti di Autostrade per l’Italia. E infatti si ritrovano molti personaggi delle inchieste di Genova e Avellino che stanno scuotendo il gigante delle infrastrutture

di Maurizio Caprino

(ANSA)

5' di lettura

La Tangenziale di Napoli è vicina alla paralisi in uno dei suoi punti più trafficati: il viadotto Capodichino. Controlli del ministero delle Infrastrutture hanno evidenziato problemi e così da sabato 19 ottobre l’ufficio ispettivo territoriale ha disposto che si viaggi solo su due corsie e vietato il transito ai mezzi pesanti (oltre le 7,5 tonnellate). È l’ultima puntata della telenovela sui viadotti “a rischio” di Autostrade per l’Italia.

I legami con Aspi
Infatti, la Tangenziale di Napoli è gestita dall’omonima società per azioni, che ha come socio unico proprio Aspi, come amministratore delegato Riccardo Rigacci e come consiglieri di amministrazione Paolo Berti e Michele Donferri Mitelli (il presidente è invece Paolo Cirino Pomicino, nome proveniente dalla politica come altri ex ministri degli anni delle privatizzazioni passati ai vertici di società dei Benetton). Tutti e tre sono uomini Aspi indagati per il crollo del Ponte Morandi: Rigacci in qualità di penultimo direttore di tronco di Genova prima della tragedia, Berti come direttore Operations e Donferri Mitelli come direttore Manutenzione.

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Gli ultimi due sono stati appena licenziati, dopo le intercettazioni in cui alludevano a possibili false testimonianze al processo di Avellino sulla strage (40 morti) del bus precipitato dal viadotto Acqualonga dell’A16 il 28 luglio 2013. Qui Berti è stato condannato in primo grado a cinque anni in qualità di direttore dell’epoca al tronco di Cassino, mentre quelli che erano i top manager nazionali sono stati assolti e nella conversazione intercettata si dice che le loro responsabilità potrebbero essere state coperte proprio dalla testimonianza di Berti (spostato alla direzione Acquisti di Aeroporti di Roma il giorno stesso della condanna).

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Come le altre società della galassia Benetton, anche Tangenziale di Napoli per i controlli sulle strutture si avvale della Spea, consociata nel gruppo Atlantia degli stessi Benetton e appena messa da parte il 22 ottobre per le pesanti accuse su presunti report edulcorati che emergono dalle indagini della magistratura in corso su vari viadotti (e prima ancora dalla relazione della commissione ispettiva ministeriale sul crollo del Ponte Morandi).

I problemi a Napoli
Tra questi ultimi viadotti non c’è il Capodichino, che è il più lungo dell’intera tangenziale di Napoli (1,35 chilometri, su un totale di 3,3 chilometri di carreggiata di quest’autostrada che corrono su viadotto). Finora non si ha notizia che ci sia il sospetto di report con dati falsificati o edulcorati.

C’è un ammaloramento dei bulloni che tengono insieme i vari tronconi metallici che compongono l’impalcato (la parte orizzontale sospesa sui piloni sulla quale si appoggia il manto stradale), anch’esso metallico e chiamato «a cassone» (per la sua forma a scatola allungata). Anche le flange fissate dai bulloni hanno bisogno di manutenzione.

I problemi sono stati scoperti da Placido Migliorino, l’ingegnere ministeriale responsabile dell’Ufficio ispettivo territoriale (Uit) di Roma, competente per la vigilanza sulle autostrade del Centro-Sud. Anche Migliorino, suo malgrado, è finito nelle intercettazioni: gli indagati, che temevano i suoi controlli, lo chiamavano il mastino.

Migliorino ha controllato il viadotto direttamente più volte a partire dallo scorso luglio, calandosi direttamente nei cassoni. Cosa che dalle indagini in corso sugli altri viadotti pare non si mai stata fatta dagli addetti Spea, adducendo anche motivazioni legate a norme anti-infortuni sul lavoro. Ma nel caso del viadotto Capodichino potrebbe essere andata diversamente: esistono rapporti di ispezione visiva diretta datati gennaio 2019.

Dove invece è verosimile che nessuno sia mai entrato da molti anni (manca la documentazione né si ricordano ispezioni) è nelle rampe dello svincolo di corso Malta, che parte proprio dal viadotto Capodichino e nella sua parte più alta ha anch’esso un impalcato a cassoni metallici. Anche qui ora sono stati riscontrati problemi, che hanno indotto Migliorino a prescrivere di limitare il transito alla parte centrale della carreggiata (creando altre code perché la larghezza era stata sfruttata al centimetro per ricavare due corsie in cui incolonnarsi in avvicinamento al casello).

I rischi reali
Da quanto emerso da luglio a venerdì scorso nei controlli e nei successivi approfondimenti dell’Uit e nei confronti fra i tecnici ministeriali e quelli Spea, non sembrano esserci rischi di crollo. Ma si è ritenuto opportuno limitare il traffico, perché all’ammaloramento delle parti metalliche si aggiungono due elementi:

- il viadotto ha un progetto, che risale ai primi anni Settanta, dimensionato con esigui margini di resistenza;

- le attuali norme tecniche di costruzione (Ntc 2018) richiedono requisiti più severi che in passato, specie per campate lunghe come quelle del viadotto Capodichino (che arrivano anche a 90 metri).

Il problema delle Ntc 2018 si è posto anche per altri viadotti, tra cui il Morandi. Finora Aspi aveva sempre sostenuto che le norme andavano interpretate nel senso che non dovessero applicarsi per strutture preesistenti, come se nel frattempo l’aumento del traffico pesante e del peso medio dei veicoli (cioè le cause che ha portato a rendere più alti i requisiti) non si fosse verificato anche su queste.

Nel caso di Napoli nessuno ha finora tirato fuori questa tesi con gli ispettori ministeriali. Forse è il segno di un cambio di strategia rispetto a pochi mesi fa: prima delle intercettazioni e degli arresti scattati a metà settembre, Aspi si difendeva negando ogni responsabilità.

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Le restrizioni al traffico
Insieme con la chiusura della prima corsia di entrambe le carreggiate del viadotto Capodichino, al divieto ai mezzi pesanti e al restringimento delle rampe di corso Malta, l’Uit ha prescritto immediati lavori. Che inizieranno nei prossimi giorni, il tempo strettamente necessario per progettarli e appaltarli con le procedure di somma urgenza.

Si stima che i disagi maggiori possano durare circa tre settimane, il tempo per portare a termine gli interventi più urgenti per la sicurezza. Dopodiché le restrizioni al traffico dovrebbero essere tolte e i lavori dovrebbero andare avanti con cantieri che comporteranno restringimenti minori.

Saranno comunque settimane difficili. Siamo su una delle autostrade più trafficate d’Italia, con 270mila transiti giornalieri medi. Nelle statistiche Aiscat sulle autostrade a pagamento (e quella di Napoli è l’unica tangenziale cittadina dove il pedaggio è imposto a chiunque la imbocchi, particolarità fonte di storiche polemiche), risulta di gran lunga la più trafficata quanto a «veicoli teorici». Questo parametro corrisponde al numero di veicoli-chilometro (totale dei mezzi entrati sull’arteria moltiplicati per il totale dei chilometri che vi hanno percorso) e la lunghezza dell’autostrada stessa.

Non basta: il viadotto Capodichino è già luogo di code frequenti perché qui s’incontrano i flussi in movimento sull’asse Autosole-aeroporto-Pozzuoli e quelli cospicui in entrata e uscita dal Centro direzionale attraverso lo svincolo di corso Malta. E di fatto non ci sono percorsi alternativi: il traffico cittadino è già caotico.

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