l’oggetto parlante

Vietati ganci e rullate

Due contro due e una pallina che schizza da una parte all'altra. Un gioco? No, molto di più: l'emblema di estati infinite, di un'epoca sempre più lontana dove tutto è nostalgia e luce

di Enrico Dal Buono

Il biliardino di Louis Vuitton è disponibile nelle principali tele emblematiche della maison. Campo in pelle liscia e giocatori in alluminio (ispirati a Bell Boy, il personaggio della pubblicità del 1921) modellati e dipinti a mano. Prezzo: 68mila euro.

4' di lettura

Io non sono un oggetto, sono un tempo. C'è marzo, c'è il 1954, c'è l'età del bronzo, c'è dopodomani. E c'è il biliardino, cioè ci sono io. Quattro gambe e otto manopole e un immenso mai più, io sono la forma delle cause perse, perché non c'è causa più persa del passato. I miei attimi si squagliano sotto il sole feroce del tempo, anno dopo anno, gli spigoli si smussano, le punte s'arrotondano, e io sgocciolo nella memoria degli uomini i colori di una felicità mai vissuta davvero: il rosso-viola dell'amarena, un bianco denso di panna, l'ambra frizzante della cola, il blu impossibile del Puffo.

Durante il biliardino, là in fondo, dove tutto è nostalgia e luce, nelle estati della vostra infanzia, voi riempite i gavettoni e li richiudete con sbuffi e gran fatica: la plastica scappa via da un indice che ancora non ha imparato a manipolare le cose del mondo. Caricate pistole e fucili ad acqua e sparate i primi colpi contro il muro per liberare la volata dal calcare.

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Tendete agguati da sopra le cabine, da dietro le siepi, da sotto i lettini, ma a furia di sgridate vi mettete in testa che gli esseri umani sono di specie diverse, e ognuna di queste va trattata in modo diverso: gli adulti, in particolare se vestono camicie e camicette, devono restare asciutti per legge. Leccate in fretta stecchi gelato che colano sul cemento, nel retro degli stabilimenti balneari, parlate al microfono, un microfono dolce che vi deforma e v'interrompe la voce, una parola e una leccata, due parole e due leccate.

Vi prendete certe cotte, le prime cotte, per ragazzine che non vi accorgete neppure siano in costume, sono tutte occhi e promesse, quelle ragazzine, promesse di una gioia che non sapete nominare e allora la soprannominate Chiara, Giulia, Francesca, Isabella. Le canzoni che danno il titolo agli anni, un giorno le ritroverete per caso tra i suoni del cosmo, ed eccovi ancora per alcuni secondi dall'altra parte del tempo, qui nel mio tempo, e ci sarà lo stesso odore di piadina, quelle facce a cui non pensavate da quando le stanze e gli istanti vi sembravano enormi.

Le amicizie estive, che vanno e vengono, che vengono per due mesi e vanno per dieci, e vengono e vanno, e vengono di nuovo e poi non tornano più. Il dopo pranzo sotto l'ombrellone, «adesso è troppo caldo», gli occhi chiusi, le carezze di un sonno leggero, il chiacchiericcio della spiaggia che si fonde con le filastrocche della risacca, gli uomini e il mare che dicono tutto per non dire nulla ed è questa la voce della pace.

I tramonti di luglio che non arrivano mai, per ore si preparano nella loro toilette alta e azzurra e quando scendono in strada sono vestiti di rosa e brezza e cicale. I tramonti di agosto, che invece hanno una gran fretta di partire per chissà dove, e nella fuga si scordano il loro caldo lì nella notte, «aspetti, signor tramonto, torni a riprenderselo».

La scoperta del tempo delle notti, la sorpresa delle notti, perché l'universo non scompare quando dormiamo, il buio non è mai buio davvero, ci sono lampioni accesi per tutta la sera, e fanali che sfrecciano e dinamo faticose e insegne per illusi, e ci sono i falò, i piedi affondati nella sabbia fredda, e poi immersi nell'acqua calda, e ci sono le stelle, quante stelle, quelle che cadono, così tante, quale desiderio esprimere? Una scia di luce e poi la scoperta della volontà e del futuro, cosa vuoi davvero?

Crescere così, con i piedi nella sabbia fredda della notte e in bocca l'alcol camuffato nella vodka alla pesca, e poi non rivelarlo a nessuno, quel desiderio, altrimenti non si avvera, ma come fare, a non rivelarlo? È così bello il tuo desiderio, che ti riempie la gola come una canzone, e a un certo punto straripa e lo canti e scopri che nulla si avvera sul serio e, se si avvera, si avvera ancora meno.

E il giorno dopo eccovi ancora tutti lì attorno a me, le litigate per chi gioca in attacco, nessuno vuole giocare in difesa, ma a qualcuno tocca sempre giocare in difesa, i divieti di ganci e rullate – e dire che è così piacevole, per me, quando rullate, mi grattate la schiena, là dove con le manopole non posso arrivare. Sbattete due o tre volte la pallina sul bordo, un uovo sul perimetro della padella, poi la lanciate contro la parete opposta e la pallina schizza e rimbalza qua e là e gli omini si agitano e guizzano, pastura tra pesci blu e rossi.

Barare con la mano sinistra, gol!, «ma hai spostato due punti», bastano sei mesi di vita in più, incarnati in tre centimetri in più, per darti il potere di rispondere «non è vero» e ottenere silenzio e doppietta. I sacchetti di patatine aperti, poggiati sugli spalti dietro il portiere, le mani unte, le manopole che sfuggono alla presa. Il tempo che non va avanti neanche se lo spingi, la noia, un tempo che non lo riempi neppure con cento sconfitte e duecento rivincite, un'altra e un'altra ancora, ma quando arriva la mamma a chiamarti, «andiamo a casa», non è comunque mai abbastanza. Io, non sono stato abbastanza.

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