Reportage

Viggiù, dai super-contagi alla prima vaccinazione di massa

Dal 7 febbraio il paese è in zona rossa e la tensione tra gli abitanti è palpabile, ma dopo la prima dose somministrata a tappeto i contagi sono crollati

di Luca Benecchi

Coronavirus, in Piemonte 343 contagi ogni 100mila abitanti, Sardegna a 49

5' di lettura

A Viggiù, terra varesina al confine con la Svizzera, sono praticamente tutti vaccinati. Anzi non sembra di essere proprio in Lombardia, regione alle prese con pesanti ritardi e polemiche sulle inefficienze dei servizi di vaccinazione e prenotazione. La prima dose si intende, la seconda arriverà tra breve. In piazza, però, il sabato mattina non sembra di essere in un paese invidiato da tutta la Lombardia.

Tensioni e lamentele

Forse è anche comprensibile che la tensione sia così alta: qui dal 7 febbraio si è in zona rossa e non se ne è più usciti. Ormai è passato un mese e mezzo. Davanti al monumento ai Caduti c'è chi impreca a voce alta contro i vigili urbani che il giorno prima hanno chiesto i documenti sparpagliando quei gruppuscoli di anziani e giovani che in un caffè o in una birra trovano il modo di passare il pomeriggio in piazza.

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«Mi permettono l'asporto poi cacciano chi viene da me», urla una ragazza del bar di fronte. Lamentele che sono più di un brusio. «Si, si… ci hanno fatto l'Astrazeneca, abbiamo avuto la febbre e il mal di testa. Poi il malessere è passato, ma sono preoccupato, io non credo più a nulla» ripete un frontaliere. «Guardi il mio giornale – alza il tono una anziana signora mostrando Libero – ha capito da che parte sto? Dovevamo fare causa alla Cina, è colpa loro. Eppoi qui non è più come una volta ora c'è gente che viene un po' dovunque. Hanno rovinato tutto».

Tra Totò e Alberto da Giussano

In realtà la ville che testimoniano di un glorioso passato turistico ci sono ancora. Alcune sono ristrutturate in po' superficialmente, come quella che ospitava Giacomo Puccini. In cima alla collina invece parecchi milanesi avevano costruito la loro seconda casa. Viggiù dista infatti solo qualche chilometro dalla Svizzera e dal lago di Varese. Ora c'è una bretella della Pedemontana lombarda (a pagamento) che dalla Milano-Varese porta fin quassù in un attimo. I due eroi del posto sono Totò che immortalò i Pompieri di Viggiù in una sua canzone e lo scultore Enrico Butti, l'autore del guerriero Alberto da Giussano, quello della battaglia di Legnano, simbolo della Lega lombarda.

In questo borgo del Varesotto almeno seicento persone si sono ammalate, con quasi quaranta morti. I residenti sono circa cinquemila e duecento, di cui mille lavorano al di là della frontiera. Intorno ai saliscendi con capannoni e centri commerciali ci sono anche due case di riposo per anziani. Emanuela Quintiglio è avvocata e sindaca.

«Più che il numero di casi (pur sempre molto alto rispetto ai paesi vicini) quello che ha fatto scattare l'allarme rosso è stata l'alta incidenza del virus nelle scuole e la presenza di tantissime varianti». Dagli esami sono state rintracciate quella inglese, quella scozzese e addirittura più di una di origine autoctona. Qualcuno ha pure ipotizzato che arrivasse dalla Svizzera: uno dei primi casi infatti ha riguardato minori figli di lavoratori frontalieri. In realtà pur essendo a due passi, con la Confederazione c'è un totale black out di informazioni. Le autorità dall'altra parte della frontiera non danno alcun tipo di notizia sui contagi, sui numeri dell'epidemia, dei morti. L'obbligo della mascherina è abbastanza recente e risale alla scorsa estate. I negozianti di Viggiù raccontano di turisti svizzeri lasciati fuori dal negozio perché senza protezione facciale.

La Svizzera, così vicina e così lontana

Per lunghi periodi i valichi sono stati chiusi, solo quello doganale di Gagliolo è rimasto sempre in funzione. «I lavoratori italiani dovevano svegliarsi alle quattro del mattino per arrivare in orario nei posti di lavoro in Svizzera, la fila di automobili arrivava fin quasi in centro del paese», raccontano. A bassa voce qualcuno dice che quella è stata soltanto una decisione di facciata. Un modo per far vedere l'impegno anti-covid dei rossocrociati che in realtà c'è stato ben poco. All'inizio trattavano gli italiani come untori, come se fossero la causa stessa del virus.

Un operaio spiega che nella zona di Lugano e Mendrisio non ci sono mai state particolari misure precauzionali. «L'epidemia è stata trattata come una influenza qualsiasi, sia sui posti di lavoro che altrove. Sei, sette giorni di malattia a casa o poco più». Peraltro in queste zone di confine i canali televisivi svizzeri non si vedono più, servono parabola o altro. Nessuno ha notizie aggiornate su cosa succede in Svizzera, si sa solo che ora i valichi sono attraversabili verso l'Italia soltanto da chi ha comprovati motivi di lavoro. Anche chi veniva a fare la spesa per risparmiare non può più venire. Il risultato si vede bene al Carrefour in fondo alla vallata. Sabato pomeriggio, parcheggi completamente deserti e portoni accostati. Sono molti i dipendenti che sono rimasti senza lavoro.

La “caccia all’untore”

A dire la verità, la caccia all'untore si è verificata anche tra paese e paese qui intorno. Nella piazza davanti alla chiesa si racconta di dipendenti di catene di supermercati allontanati soltanto perché di Viggiù. Nelle lunghe settimane dell'isolamento è successo anche questo. Il 7 febbraio, dopo lo screening della popolazione fatto in piazza, la decisione di chiudere tutto. Scuole e negozi. Lucchetti dappertutto e saracinesche abbassate con il divieto di uscire dal paese. «In quei giorni i casi stavano aumentando in modo esponenziale – racconta ancora Emanuela Quintiglio – anche se in numeri reali non superavano i cento». Ma la prima ondata aveva lasciato ancora segni visibili nelle persone. «In tanti hanno segni permanenti del virus: mi chiamano e raccontano, alcuni non ci sono più. Altri fanno fatica a recuperare con sintomi che continuano, gente che non dorme più o donne a cui è saltata la regolarità del ciclo mestruale».

La prima vaccinazione di massa

Nella piazza sotto la statua di Garibaldi, basta sedersi su una panchina e queste storie si ascoltano tutte. C'è chi maledice il destino, chi racconta che ne è uscito da poco, chi inveisce contro le televisioni che vengono tra la gente a fare domande. Dopo il nuovo focolaio e la scoperta delle varianti le autorità sanitarie hanno deciso di dare il via all'esperimento: la prima vaccinazione di massa di una popolazione circoscritta. Un caso unico. A metà marzo la svolta: l'incidenza del virus per 100mila abitanti è arrivata a 19 casi, facendo crollare la curva dei contagi a soli dieci giorni dalla fine della prima campagna vaccinale. L'adesione ha sfiorato l'80% dei residenti convocati e l'83% degli over 65. «Nessuno si aspettava un effetto positivo così veloce».

Al momento infatti a Viggiù ci sono in tutto 10 positivi e tutti con sintomi lievi. Ora manca ancora qualche passaggio: dobbiamo fare il richiamo di Moderna la settimana prossima e il richiamo di Astrazeneca tra 12 settimane. L'unico elemento negativo è stato che circa il 22% degli abitanti non si è presentato. Una cifra fisiologica probabilmente. «Certo non ne usciremo da soli – conclude la sindaca – continueremo a essere all'interno del percorso dei colori regionali e la strada è ancora lunga. Rispetto delle regole e vaccini sono l'unico modo per uscirne ma al momento l'esperimento di Viggiù è sicuramente positivo».

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