Vino, accelera la corsa a investire nell’area dell’Etna
Entra nel vivo la vendemmia alle pendici del vulcano diventato l’Eldorado delle nuove produzioni di qualità. Attesi quest’anno quasi quattro milioni di bottiglie
di Nino Amadore
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La strada per arrivare nel cuore della capitale del nuovo Eldorado del vino è un budello circondato dai filari. Vi si arriva dopo aver attraversato paesi e contrade dai nomi strani: Linguaglossa, Passopisciaro. Castiglione di Sicilia li guarda tutti dall’alto e si fronteggia con Iddu, l’Etna, le cui bocche di fuoco sembrano stare lì a portata di mano. Siamo sul fronte Nord del Vulcano, in una striscia di territorio che, fino a Randazzo da un lato e fin oltre Linguaglossa dall’altro, è costellata da vigneti e cantine: il cuore se vogliamo dell’area a Denominazione d’origine controllata che fa capo al Consorzio guidato da Antonio Benanti, amministratore unico dell’azienda di famiglia che produce 170mila bottiglie su 20 ettari distribuiti in quattro contrade su versanti diversi.
Qui sull’Etna, in questi terreni, che fino a 15 anni fa valevano 15mila euro per ettaro e oggi sono quotati a 150mila euro a ettaro alla pari delle migliori zone della Toscana, tra qualche giorno sarà tempo di vendemmia piena mentre per le uve base spumante la raccolta è già iniziata da qualche giorno. Difficile, per i produttori, fare previsioni su come andrà quest’anno: qualcuno prevede un calo della produzione nell’ordine del 10% ma un livello di qualità sempre molto alto. «Rimandiamo alla conclusione della vendemmia per poter dare un giudizio definitivo sull’annata» dice Alessio Planeta, presidente di Assovini Sicilia.
In ogni caso sarà un successo, l’ennesimo per questo territorio che Stevie Kim, brand manager di Vinitaly International e fondatrice della Vinitaly Accademy, ha definito «sexy» per qualità dei vini prodotti. Un parere condiviso da parecchi esperti e imprenditori se è vero come è vero che dei circa mille ettari vitati e rivendicati a Doc Etna una quota importante ha cambiato proprietari, con parecchi investimenti a sei zeri. Hanno comprato e investito sull’Etna, per esempio, i principali marchi siciliani: da Firriato a Planeta, da Donnafugata che ha recentemente aperto al pubblico i 18 ettari che possiede a Randazzo a Tasca, da Cusumano alla Cantina Orestiade. Ma hanno investito sull’Etna anche marchi ancora più di nicchia come la siciliana Alessandro di Camporeale ma anche aziende blasonate del settore come la toscana Torre Mora, Oscar Farinetti in società con l’imprenditore Francesco Tornatore, il piemontese Angelo Gaja che ha comprato 21 ettari di terreno in società con l’imprenditore catanese Alberto Graci, ma anche la famiglia Nodi e l’imprenditore vitivinicolo Gianni Rosso. Insieme agli investimenti di qualità di cui sopra vi sono quelli da cui guardarsi. «Bisogna fare molta attenzione agli speculatori: ci sono soggetti che pensano di poter fare, da queste parti, soldi facili a discapito della qualità» dice l’enologo Antonio Campisi che con il suo bianco Enrico IV 2017 delle cantine Valenti ha ottenuto un grande riconoscimento dal sommelier Andreas Larsson. «Far durare il successo di questa zona siciliana - aggiunge - dipende da chi lavora da queste parti. Fra 10 o 12 anni capiremo se l’Etna è stata una moda o, come credo, una splendida conferma».
I versanti più richiesti sono quelli di Nord e Nord Est, con diverse altimetrie importanti per le valutazioni di chi vuole investire sono anche le contrade e le esposizioni. «A rafforzare il successo è il brand Etna (e il marchio del Consorzio) il cui mercato nel ranking mondiale è collocato al 9° posto come gradimento (classifica di Wine Spectator, la bibbia americana del vino)» ha spiegato recentemente nel corso della manifestazione ViniMilo il direttore dell’Enoteca regionale Piero Di Giovanni.Delle circa 200 aziende vitivinicole censite in provincia di Catania sono oltre 130 oggi quelle che fanno parte del Consorzio Etna Doc che ha registrato complessivamente nel 2018 un incremento di bottiglie prodotte del 5,4%: da 3,4 milioni di bottiglie del 2017 si è passati a 3,6 milioni dell’anno scorso. «Quest’anno - spiega Benanti - dovremmo arrivare a quasi quattro milioni di bottiglie». Sull’Etna, nell’area della Doc, finisce in bottiglia il 92% del vino prodotto e secondo gli esperti non esiste in Italia «una denominazione che possa presentare una dato di questo tipo».
La forza del territorio spinge anche l’enoturismo: «In generale - spiega Benanti - incide in media per quasi il 15% sul totale delle vendite». Tra i prodotti emergenti gli spumanti la cui produzione è stata avviata trent’anni fa dalle Cantine Murgo di Santa Venerina: secondo i dati dell’Irvo (Istituto regionale vini e oli), tra il 2012 e il 2018, la produzione di Spumante Etna Bianco Doc è passata da 4.109 bottiglie a 83.646 (+ 1.935%), mentre quella dello Spumante Etna rosato Doc da 2.870 bottiglie è arrivata a 11.006 (+283%). Ma è il futuro della Doc nel suo insieme che ora sta a cuore agli imprenditori: «Il riconoscimento ministeriale dell’erga omnes (con competenze anche nei confronti di chi non fa parte del Consorzio ndr) ci ha dato altre responsabilità anche in termini di vigilanza - dice Benanti riferendosi al Consorzio -. In programma abbiamo intanto il completamento della mappatura dell’Etna e un paio di grandi eventi. Ma soprattutto arrivare alla Docg : è un percorso elaborato che deve passare dall’approvazione dei soci».
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