Vino bio, i produttori: pronti alle sfide di malattie della vite e cambiamento climatico
La presidente di FederBio, Maria Grazia Mammuccini: proprio in questa annata difficile abbiamo dato prova di resilienza mostrando di aver compiuto importanti passi avanti sul terreno della ricerca e dell’innovazione
di Giorgio dell'Orefice
3' di lettura
«L’annata 2023 è stata molto difficile e impegnativa per tutte le produzioni agricole. non solo per il vino. Hanno avuto difficoltà l’olio d’oliva, la frutta e gli ortaggi e anche i cereali. E non solo per il settore biologico che invece proprio in questa annata difficile ha dato prova di resilienza mostrando di aver compiuto importanti passi avanti sul terreno della ricerca e dell’innovazione».
A spezzare una lancia a favore dell’agricoltura biologica italiana è la presidente di FederBio, Maria Grazia Mammuccini che ha voluto così rispondere al presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella, che nei giorni scorsi ha parlato di un’annata disastrosa per il vino bio.
«Io trovo sia un errore – ha aggiunto la Mammuccini – dividere il mondo agricolo in due individuando nel biologico il segmento che ha avuto danni maggiori. A me non risulta questa separazione netta. Dove vedo una netta linea di demarcazione è tra imprese che sono riuscite a rispondere tempestivamente alle sfide del cambiamento climatico, magari puntando solo sulle forze proprie e imprese, spesso più piccole, che effettuano le lavorazioni soprattutto attraverso il contoterzismo e che non sempre sono riuscite a fronteggiare le fitopatie. Il tutto senza dimenticare un altro importante aspetto che ha fortemente condizionato l’agricoltura italiana: la mancanza di manodopera. Le difficoltà nel trovare addetti, e in particolar modo lavoratori specializzati, ha inciso sul calo produttivo dell’agricoltura italiana forse ancora di più delle patologie come peronospora e flavescenza dorata. Ecco, più che parlare di differenze tra biologico e convenzionale parlerei di differenze tra imprese che hanno saputo rispondere alle sfide e altre che tra difficoltà organizzative e tecnologiche non ci sono riuscite».
In secondo luogo, se c’è un insegnamento che viene da questa campagna è che anche il biologico ha fatto importanti passi avanti. «Non esiste più solo il solfato di rame – aggiunge la presidente di FederBio – e anche nel biologico ci stiamo evolvendo. E lo stiamo facendo grazie a formulati che hanno ridotto l’apporto di rame e all’introduzione di induttori di resistenza che, utilizzati insieme al rame, hanno rafforzato la resilienza del biologico rispetto al passato. Aspetti che dimostrano che il settore biologico guarda con grande attenzione e ricerca e innovazione e non è un settore proiettato solo al passato».
Resta però l’anomalia di una fetta importante della produzione italiana, quella dell’agricoltura biologica, che però sfugge a rilevazioni sistematiche. Caso esemplare è proprio quello del vino. Il vino bio copre il 19% delle superfici italiane con punte di oltre il 38% in regioni come Sicilia e Toscana ma ancora non è noto quanto vino bio si produce in Italia. «Siamo consapevoli di questo deficit di informazioni – dice ancora la Mammuccini – e ci stiamo adoperando per colmare questa lacuna. Tuttavia, anche nel vino bio alcuni dati eloquenti a mio avviso ci sono. A parte le cifre positive rese note da Nomisma sulla crescita dell’export grazie al traino della domanda internazionale e il buon trend di vendite nella grande distribuzione ma trovo ancora più interessante che nel Chianti classico i vigneti bio hanno ormai superato il 50% del totale. È un dato importante perché si tratta di una denominazione con valori significativi. E questo contraddice le critiche di alcuni che vedono nei soli contributi Ue alla conversione la spinta verso l’agricoltura biologica. L’incidenza del contributo alla conversione è assolutamente irrilevante nei confronti della redditività di un ettaro di Chianti classico. Segno evidente che la transizione verso il biologico è trainata, in questo come in altri casi, solo dal mercato».
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