Denominazioni - La battaglia

Vino Prosek, gioco di squadra per fermare la Croazia

di Giorgio dell'Orefice

 Il punto chiave della difesa italiana sarà il riferimento geografico: Prosecco è un paese in provincia di Trieste

3' di lettura

Gioco di squadra in difesa del Prosecco. È in campo una mobilitazione davvero generale del mondo vitivinicolo e del sistema paese per difendere dall’offensiva croata una delle eccellenze del made in Italy alimentare, lo spumante Prosecco che vale da solo il 25% dei volumi esportati di vino italiano. La Croazia ha a più riprese (fin dal negoziato per l’ingresso nella Ue nel 2011) richiesto il riconoscimento della menzione tradizionale Prosek. Ovvero non una vera e propria denominazione d’origine, ma un nome aggiuntivo (sull’esempio degli italiani “Riserva” o “Classico”) che anderebbe ad aggiungersi alle etichette di quattro Doc croate, per contrassegnare un vino liquoroso dalmata. Al di là delle differenze oggettive nei prodotti, di fatto, un eventuale via libera Ue porterebbe sugli scaffali due vini con nomi di fatto coincidenti con evidente rischio confusione per il consumatore. Senza dimenticare che nulla vieta ai produttori croati, una volta riconosciuta la menzione Prosek, di cominciare a produrre anche uno spumante secco.

La richiesta, già effettuata e poi ritirata al tempo del negoziato di pre-adesione, è stata riproposta adesso e Bruxelles - con procedura che secondo alcuni è un atto dovuto, secondo i produttori italiani no – ha provveduto a pubblicarla in Gazzetta ufficiale Ue nelle scorse settimane. Da quel momento decorrono sessanta giorni di tempo per presentare, da parte di istituzioni e portatori di interesse, osservazioni e opposizioni motivate.

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E proprio sull’opposizione che l’Italia sta mettendo in campo un insospettato gioco di squadra. «Si è cominciato con la tempestiva definizione di un tavolo di coordinamento al ministero delle Politiche agricole – spiega il direttore del Consorzio del Prosecco Doc, Luca Giavi – voluto dal ministro Patuanelli e coordinato dal sottosegretario Centinaio che in queste settimane ha portato avanti un grande lavoro. Un lavoro nel quale sono coinvolte sia le istituzioni, ovvero il ministero delle Politiche agricole e le regioni, ma anche dei portatori di interesse ovvero i consorzi Doc e le associazioni agricole e dei produttori. L’obiettivo è coordinare le opposizioni in maniera da coprire più aspetti giuridici e far valere fino in fondo le nostre ragioni».

Il punto chiave della difesa italiana sarà il riferimento geografico. Nel caso della denominazione italiana Prosecco è un paese in provincia di Trieste compreso all’interno della macro doc del Nord Est. Nel caso invece dell’etichetta croata Prosek è solo il nome di un vino liquoroso. Un’impostazione che ad esempio agli inizi degli anni 2000 ha fatto attribuire il nome Tokaji ai viticoltori della omonima cittadina ungherese vietando ai produttori friulani l’uso del termine tradizionale Tocai (che in Italia era solo il nome di un vitigno).

Altro aspetto critico è che Bruxelles nei propri regolamenti chiarisce che «la sola omonimia può non bastare a respingere la domanda di riconoscimento di una menzione tradizionale». «E qui entra in gioco – aggiunge Giavi – l’aspetto della possibile confusione per il consumatore. Prosecco e Prosek non sono solo omonimi, ma sinonimi, anzi uno è la traduzione in lingua croata dell’altro. Provengono da due aree vicine geograficamente e fanno riferimento a una stessa categoria merceologica: il vino. Non a caso tra i portatori di interesse che vogliono presentare la propria opposizione ci sono anche associazioni di consumatori per le quali il rischio confusione è evidente».

Senza contare che l’Italia in questa battaglia sta ricevendo appoggio anche da altri paesi. Hanno infatti già manifestato la propria contrarietà al Prosek i produttori di Champagne e quelli dello Scotch Whiskey. «Il punto – conclude Giavi – è che in gioco c’è l'intero sistema delle denominazioni d’origine europeo. Come potrà Bruxelles andare a difendere i prodotti Dop e Igp nei trattati con i paesi Terzi se non è in grado di evitare la confusione tra i nomi neanche all'interno dei confini comunitari?».

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