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Virzì, i giovani e la crisi climatica

Il pubblico ha appena assistito alla proiezione di “Siccità”, ultimo lavoro del regista livornese, uno sguardo su solitudine e aridità delle relazioni umane

di Silvia Marzialetti

Michela Murgia, Virzi': "Una ragazza sarda indomabile dal talento puro"

3' di lettura

«Il futuro è lì, lì c’è lo sguardo verso una realtà che fa improvvisamente impallidire e diventare quasi un disturbo cognitivo il rapporto con la realtà, nella discussione politica contemporanea, che non ha questo tema come primo punto all’ordine del giorno». Si infervora, Paolo Virzì, quando si parla di giovani e dello slancio con cui - anche se con goffaggine mediatica, non importa - affrontano il problema della crisi climatica. La cornice è Cinema in Verde, a Roma, il primo Festival di cinema che racconta temi legati alla sostenibilità, organizzato dall’assessorato all’Ambiente di Roma Capitale e dall’agenzia di comunicazione Silverback.

La monumentalità di Roma sullo sfondo

Il pubblico ha appena assistito alla proiezione di “Siccità”, ultimo lavoro del regista livornese, nato in tempi di pandemia dal confronto con Francesca Archibugi, Paolo Giordano, Francesco Piccolo come sguardo sulla solitudine e sull’aridità delle relazioni umane. Sullo sfondo la monumentalità di una Roma spettrale e infestata dalle blatte, che amplifica il senso di sgomento.

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A Roma "Cinema In Verde", il primo Festival di cinema ambientale

Un progetto dedicato ai giovani estremisti radicalizzati

«Stiamo assistendo - prosegue - a una sparuta minoranza di estremisti radicalizzati che compiono azioni percepite come fastidiose e che suscitano antipatia perché bloccano il raccordo anulare, o imbrattano il Senato. Questi ragazzi però rischiano condanne per associazione terroristica e subiscono processi che probabilmente porteranno a condanne importanti», dice il regista. «Ho molta fiducia e commozione verso questi attivisti come Extinction Rebellion, che occupano la piazza all’Aja: auguro loro successo e sicuramente una cosa importante che sta nascendo nella mia piccola società di produzione è un progetto dedicato».

L’Italia affonda nel Mediterraneo

Nel narrare la «distanza smisurata che intercorre tra discorso pubblico e realtà», Virzì si sofferma poi sull’Italia, Paese che «affonda nel Mediterraneo come una lama» e sulla stretta - non condivisa - decisa dalla politica nei confronti di «poche decine migliaia di disperati, che affrontano odissee terrificanti». Per il regista non è altro che «un piccolo teaser di quello che avverrà tra qualche decennio, quando intere parti di un Pianeta ormai inospitali si muoveranno».

L’emergenza climatica entra nella narrazione mainstream

Il tema dell’emergenza climatica, finora sfiorato quasi esclusivamente da film di fantascienza, o da film distopici, ma sempre distante dal cinema popolare, sta entrando nella narrazione mainstream. «Non c’è dubbio che il compito del cinema adesso, come di tutte le arti narrative, sia quello di assorbire il tema dei temi guardando ai papers degli scienziati», argomenta Virzì, citando a futura memoria il linguaggio cartografico di Telmo Pievani. Marco Gisotti, autore del libro Ecovisioni (25 anni di storia del cinema attraverso 150 opere cinematografiche) conferma una richiesta anche da parte del pubblico: «Ora che l’emergenza è scoppiata, c’è fame di questo tema in maniera conscia: la narrazione popolare ne ha bisogno».

La narrazione per sensibilizzare l’opinione pubblica

Qualcosa di analogo accade anche in letteratura. I cambiamenti climatici portano cambiamenti sociali, violenza, sfarinamento delle democrazie, ma la narrazione vince la paura di quello che si tende a derubricare nel capitolo delle cose che non si vogliono vedere. «Credo che la narrazione sia l’unico modo per sensibilizzare l’opinione pubblica, sfruttando la capacità di racconto e l’empatia che essa evoca», spiega lo scrittore Bruno Arpaia, autore del primo romanzo sul tema in Italia dal titolo “Qualcosa là fuori”. Scritto nel 2015, ambientato nel 2072, il protagonista è un neuroscienziato che intraprende un lungo viaggio da un Sud Europa non più vivibile per l’innalzamento climatico verso la Scandinavia. Con lui migliaia di profughi ambientali.

Come superare i pregiudizi cognitivi

Climate fiction, realismo aumentato, presente estremo, speculative fiction sono le definizioni coniate per inquadrare il genere. Arpaia, che non sente l’esigenza di essere collocato in alcuna definizione, ha però una certezza: «Non sono romanzi distopici, perché parlano di cose che stanno già accadendo, ma che non riusciamo ancora a vedere, perché troppo grandi. É quello che Timothy Morton definisce iper-oggetti». E prosegue: «Tutti noi abbiamo nel cervello pregiudizi cognitivi, i cosiddetti bias, che possono essere superati utilizzando la capacità di raccontare storie, il metodo più antico che l’umanità ha elaborato per tramandare la conoscenza». L’effetto provocato dall’empatia è garantito. «Vedere il mare che ha sommerso Amburgo, come nel romanzo “Qualcosa là fuori”, o la Roma desertica di “Siccità” ha un impatto diverso rispetto a una mera elencazione di dati e numeri», conclude.

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