Visegrad, i sovranisti che dipendono dall’economia europea
di Luca Veronese
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Il rallentamento dell’economia tedesca può mettere in difficoltà anche i governi di Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca. La contrazione dello 0,2% fatta segnare dal Pil della Germania nel terzo trimestre può cambiare gli equilibri interni ai “quattro ribelli” dell’Europa centro-orientale (in termini di consenso) e modificare i rapporti di forza con l’Unione. Ancor più se, come risulta chiaramente dai dati, il calo del prodotto interno tedesco è dovuto alle difficoltà dell’industria dell’auto, della quale i Paesi di Visegrad sono parte integrante.
Impermeabili alle sanzioni
Non c’è procedura o sanzione decisa da Bruxelles che possa condizionare in modo altrettanto profondo le strategie del premier ungherese Viktor Orban, del polacco Jaroslaw Kaczynski o dei loro fedeli alleati a Bratislava e a Praga. Nemmeno il taglio dei fondi di coesione comunitari (peraltro solo minacciato)che hanno sostenuto e continuano ad aiutare la crescita dei nuovi arrivati nella Ue, avrebbe sui quattro di Visegrad conseguenze paragonabili a una nuova crisi dell’Eurozona.
«I legami tra le economie di Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca, e ancora di più di quella della Slovacchia con la produzione e i mercati dei Paesi occidentali dell’Unione europea sono fortissimi. Si può, a ben vedere, parlare di dipendenza economica del gruppo di Visegrad», dice Witold Orlowski, influente economista e chief economic advisor di PwC in Polonia. I mercati della Ue rappresentano lo sbocco di gran lunga dominante per le esportazioni di questi Paesi: nel caso di Repubblica Ceca e Slovacchia la quota destinata all’Unione supera l’80% dell’export complessivo.
Il peso dei mercati internazionali
«E la Germania - continua Orlowski - per investimenti produttivi e per valore dell’interscambio è il primo partner economico per tutta l’area centro-orientale del continente: un incremento del Pil in Germania dello 0,5% porta alla Polonia un punto di Pil extra. Ma vale anche il contrario». Molte delle fortune economiche dei Paesi di Visegrad dipendono dall’ambiente esterno, dalle connessioni con i mercati internazionali, dall’essere diventati parte integrante della manifattura europea. Ben oltre dunque, la propaganda nazionalista e la conseguente chiusura dei confini che leader come Orban e Kaczynski utilizzano per fare presa sui loro elettori: non solo contro i migranti in fuga dalla fame e dalla guerra ma anche contro le multinazionali delle telecomunicazioni, o le grandi banche straniere).
Il ruolo dei fondi europei
I fondi europei hanno contribuito in modo significativo alla rinascita dell’Europa centro-orientale: Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia sono i maggiori beneficiari della redistribuzione all’interno dell’Unione. Nonostante lo scontro tra i governi sovranisti e Bruxelles, tra il 2014 e il 2020 la Polonia ha ricevuto dall’Europa 84 miliardi di euro, la Repubblica Ceca e l’Ungheria circa 23 miliardi, la Slovacchia 15 miliardi. Ma il nuovo budget per il periodo 2021-2027 ridurrà le risorse per questi Paesi e l’uscita della Gran Bretagna potrebbe trasformarsi in un’ulteriore penalizzazione.
«La proposta della Commissione europea - spiega Moritz Degler, economista di Oxford Economics - comporta una marcata riduzione dei fondi strutturali e di coesione complessivi per l’area. Nel peggiore dei casi, Polonia e Ungheria potrebbero addirittura perdere tutti i finanziamenti a causa del nuovo meccanismo collegato al rispetto dello Stato di diritto che mira a far rispettare i principi democratici su cui è stata fondata l’Unione, penalizzando i Paesi che non li rispettano. In tal caso, il Pil della Polonia perderebbe un punto percentuale rispetto al nostro scenario di base verso la fine del prossimo ciclo di bilancio. Mentre l’Ungheria dovrebbe rinunciare all’1,3% del Pil».
Anche su Brexit, Orban ha da tempo stabilito la linea nel gruppo di Visegrad: «Gran Bretagna fuori, Balcani dentro, Europa centrale più forte», ha detto il premier guardando al futuro assetto dell’Unione nei prossimi anni. E tuttavia Brexit e le successive modifiche al sistema di definizione del budget Ue potrebbero finire per tagliare di oltre il 20% i fondi europei destinati ai Paesi dell’Europa centro-orientale.
Le preoccupazioni sul budget
Varsavia e Budapest non sono soddisfatte di come si sta delineando il nuovo budget comunitario. Ma sono ancora più preoccupate dalle difficoltà che l’economia dell’Eurozona ha di fronte. I quattro di Visegrad dipendono dalle economie dei Paesi occidentali: nel caso dell’automotive, sono parte integrante, per quanto periferica, dell’industria europea, e tedesca in particolare. Producono quasi un quinto dei 17 milioni di veicoli assemblati ogni anno nella Ue, la Repubblica Ceca è il quinto Paese produttore dell’Unione, con oltre 1,4 milioni di auto realizzate nel 2017, ma il record di auto prodotte pro capite è della Slovacchia: in altri termini, non possono permettersi di perdere gli investimenti, il lavoro, la ricchezza che le fabbriche di automobili, soprattutto tedesche, portano ogni anno nei loro Paesi.
La frenata dell’automotive
«Il rallentamento dell’automotive impatta su tutti i Paesi di Visegrad - dice Orlowski - ma con intensità diverse: l’economia polacca è la più grande delle quattro e risente in modo meno evidente delle difficoltà nelle esportazioni, anche verso la Germania. All’opposto per la Slovacchia l’automotive vale il 27% dell’export totale e il 22% del Pil». E se la Polonia anche nel terzo trimestre è cresciuta dell’1,7%, la Repubblica Ceca ha risentito del calo tedesco con una brusca frenata allo 0,4 per cento.
È vero che le scarse performance dell’industria dell’auto sono state in parte determinate da fattori transitori (come le difficoltà ad adeguarsi ai nuovi test sulle emissioni). E gli analisti prevedono che la produzione industriale tedesca si riprenderà già nel quarto trimestre. «A lungo termine, tuttavia, la forte dipendenza da produttori di automobili tedeschi - sottolinea Moritz Degler - è senz’altro un rischio». Vale per Repubblica Ceca e Slovacchia ma anche per Ungheria e Polonia. Il consenso dei leader sovranisti dell’Europa centro-orientale ha bisogno del boom economico continuo. La dipendenza economica dall’Eurozona e dalla Germania, li rende più vulnerabili.
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