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Lavoro, visti veloci per addetti extra Ue formati da aziende italiane

Sarà subito operativa la chiamata al di fuori dei flussi per gli extracomunitari che hanno lavorato 12 mesi negli ultimi quattro anni per un’impresa nazionale o una partecipata

di Bianca Lucia Mazzei e Serena Uccello

Il decreto 2023-2025 prevede 452mila ingressi in tre anni

3' di lettura

La possibilità di rilasciare il visto d’ingresso ai lavoratori extra Ue che sono stati dipendenti per almeno 12 mesi di imprese con sede in Italia (o di loro partecipate) che operano in Paesi non appartenenti alla Ue, sarà operativa da subito, non appena la legge di conversione del Dl Pa-bis (decreto 75/2023) verrà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ed entrerà in vigore, perché non ha bisogno di attuazione.

La nuova norma introdotta da un emendamento presentato dal capogruppo di FdI, Tommaso Foti, durante l’esame della Camera dei deputati, allarga le maglie di ingresso nel nostro Paese. Introduce infatti un altro canale “aggiuntivo” rispetto alle quote annuali fissate dai decreti flussi che si affianca a quelli già previsti dal decreto flussi triennale 2023-2025 e cioè: ingressi da Paesi con cui l’Italia ha accordi di rimpatrio, formazione nei Paesi d’origine, possibilità di conversione in permessi di lavoro dei permessi di soggiorno in Italia per ragioni di istruzione (si veda Il Sole 24 Ore del 7 agosto).

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Questa nuova via di ingresso dovrebbe consentire l’arrivo di 8-10mila lavoratori l’anno. L’obiettivo è far fronte alla carenza di manodopera soprattutto nel settore edile e alle esigenze legate alla realizzazione delle opere del Pnrr.

«È una norma sicuramente pro-azienda – spiega l’avvocato Davide Boffi, Head of Europe Employment and Labour dello studio Dentons – che introduce un meccanismo già presente in molti Paesi. Corrisponde cioè a un modello efficiente la possibilità per un’azienda di poter valorizzare in base alle proprie esigenze produttive le risorse già sperimentate». Una norma, dunque, che colma un vuoto e supplisce a un bisogno sempre più diffuso. Non a caso un Paese come gli Stati Uniti che ha regole sull’immigrazione precise e severe prevede un percorso simile. «Le aziende – prosegue Boffi – sono persone giuridiche che si muovono nel mondo, le persone fisiche che ne fanno parte devono avere l’opportunità di muoversi allo stesso modo, alla stessa velocità».

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Le nuove regole

La legge di conversione del Dl Pa-bis modifica l’articolo 27 del Testo unico sull’immigrazione (legge 286/1998) inserendo una nuova voce nell’elenco dei soggetti cui possono essere rilasciati visti di ingresso e permessi di soggiorno per lavoro subordinato al di fuori delle quote stabilite dai decreti flussi. Si tratta quindi di una norma subito operativa poiché non ha bisogno di attuazione. Nella lista (che ha, fino ad oggi, compreso profili particolari come ad esempio, professori universitari, ballerini, musicisti, dirigenti societari, traduttori) entreranno i lavoratori che siano stati dipendenti per almeno 12 mesi nei quattro anni precedenti alla richiesta, di imprese con sede in Italia, o di società partecipate, operanti in Stati non appartenenti all’Unione europea. Dovranno essere impiegati nelle sedi presenti sul territorio italiano delle stesse imprese.

Le procedure

L’ingresso di questi lavoratori godrà di una procedura semplificata: sono stati infatti inseriti fra le categorie per le quali il nulla osta è sostituito dalla comunicazione da parte del datore di lavoro della proposta di contratto di soggiorno per lavoro subordinato. Un’agevolazione di cui, fino ad oggi, si sono avvalsi dirigenti e i professori universitari. Ma cosa accade se dopo l’ingresso il lavoratore viene licenziato? «Su questo – conclude Boffi – bisognerà aspettare le note operative del ministero dell’Interno ma potremmo pensare che se il requisito per l’ingresso è il contratto, una volta che questo viene meno, cade anche il requisito su cui si poggia il permesso di soggiorno».

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