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Vittoria in campo su Cattolica. Soci dissidenti contro la spa

Il piano: fusione alla pari, ricapitalizzazione , spa e presidi su danni e vita. I limiti secondo Verona: aumento a condizioni di mercato e tetto al recesso

di Laura Galvagni

(IMAGOECONOMICA)

4' di lettura

Vittoria Assicurazioni resta in campo su Cattolica ed è pronta a riannodare il filo della trattativa lì dove si è interrotta se dovesse tramontare il piano legato all’ingresso nel capitale delle Generali. Le linee guida di una fusione alla pari e amichevole tra le due compagnie erano già state definite nei dettagli e, d’altra parte, l’ipotesi che salti l’intesa con Trieste, allo stato attuale, non può essere esclusa a priori. Diversi soci di Verona infatti si stanno organizzando per frenare l’opzione di riassetto votata dal consiglio.

No al «colpo di spugna»

«Centoventi anni storia cancellati in un lampo». Giuseppe Lovati Cottini, avvocato e già guida di una frangia dei soci dissidenti che nei mesi scorsi ha promosso la battaglia per un cambio di governance di Cattolica, si è riaffacciato sulla scena per cercare di bloccare la trasformazione in spa del gruppo assicurativo. E con lui numerosi altri soci e presidenti di Associazioni. L’altra sera si è tenuto un primo vertice e il clima, almeno per ora, è incandescente. Pur nella consapevolezza della situazione assai complessa in cui versa la compagnia, un fronte corposo di stakeholders veronesi è al lavoro con l’intento di contrastare quello che, a parer loro, è un colpo di spugna su un realtà centenaria. «Non abbiamo nulla contro Generali, che anzi è un grande gruppo, ma questo piano “svende” Cattolica, la fa scomparire», ha aggiunto Lovati Cottini.

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Il summit per sbarrare la strada alla spa

Già per sabato 4 luglio è in calendario un nuovo summit, promosso da Germano Zanini, lo stesso che si è detto pronto a impugnare la delibera della passata assemblea, quella che ha dato il via libera all’aumento di capitale funzionale all’ingresso del Leone di Trieste con una quota del 24,4%. L’appuntamento è alle 11.30 in Piazza Bra, a Verona, quella antistante l’Arena, e l’invito lascia poco spazio all’immaginazione: Insieme per Cattolica Assicurazioni. Insieme, dunque, per un ”no” alla spa. Ma con quale orizzonte? Il pensiero corre subito a Vittoria Assicurazioni.

Lovati Cottini: puntiamo a soluzione che non dissolva la compagnia

«C’erano altre proposte oltre a quella di Generali ma non mi risulta siano state portate in consiglio, puntiamo a un soluzione che non dissolva la compagnia ma che la inserisca in un percorso che preservi le radici», ha spiegato Lovati Cottini. «Toccherà ai soci decidere liberamente e toccherà a loro legittimare o meno l’attuale consiglio di amministrazione e in particolare il presidente, Paolo Bedoni, con un voto a favore o meno alla trasformazione in spa alla prossima assemblea del 31 luglio. Ma se in assise il numero uno dovesse andare in minoranza lo riterrei delegittimato», ha concluso l’avvocato.

Con Vittoria fusione alla pari

L’ambizione, dunque, è trovare una strada alternativa per Cattolica. E il piano di Vittoria, secondo alcuni, potrebbe essere la risposta. D’altra parte, stando a quanto è stato possibile ricostruire, l’offerta era di fatto pronta, il progetto ampiamente condiviso. Il piano, allo studio di entrambe le compagnie e degli advisor da diversi mesi, ha sempre avuto un impianto amichevole. L’idea era quella di procedere con una fusione alla pari, dando una valutazione dei due gruppi compresa tra 900 milioni e 1 miliardo, la stessa cifra messa sul piatto da Generali se si esclude l’aumento di capitale da 500 milioni che porta a 1,4 miliardi il valore complessivo di Cattolica. Peraltro era già stato stabilito che la sede legale della nuova realtà sarebbe stata a Verona così come degli importanti presidi territoriali sia nel danni che nel vita. Un’operazione paritaria che, sulla carta, avrebbe creato una nuova entità con un azionista di controllo rilevante, la famiglia Acutis, che avrebbe avuto una quota compresa tra il 45 e il 50%. Lo schema era stato definito nei minimi dettagli anche sul fronte della governance. E Cattolica non avrebbe dovuto fare altro che portare all’attenzione dell’assemblea in un’unica riunione il progetto di fusione, l’aumento di capitale e la trasformazione in spa.

Il blitz delle Generali

Ma è sfumato tutto davanti al blitz delle Generali che si è consumato in due settimane. Tanto è bastato al Leone per chiudere la partita a suo favore. Anche perché, come spiegano ambienti vicini alla compagnia, sul tema della sede legale in realtà l’intenzione era mettere più Milano che Verona al centro. Inoltre, l’aumento di capitale si sarebbe dovuto realizzare a condizioni di mercato, post fusione (quindi con effetti potenzialmente estremamente diluitivi per i soci attuali) e a un prezzo inferiore a quello di 5,5 euro proposto dalle Generali. Infine, era stato fissato un tetto al recesso che in prospettiva avrebbe minato il buon esito dell’operazione. Di qui, sottolineano ancora da Verona, la scelta del management. Rispetto alla quale ora però i soci vogliono provare ad avere voce in capitolo. Si vedrà se riusciranno a creare il consenso sufficiente. Di certo sono pronti a chiedere conto anche di un’altra operazione condotta in un lampo da Cattolica: il raddoppio della quota in Ubi. Il consiglio di amministrazione della compagnia ha deliberato di accrescere la quota il 13 febbraio, ossia pochi giorni prima il piano di Ubi seguito a stretto giro dall’Ops di Intesa Sanpaolo, annunciata il 17 febbraio. Quel raddoppio ha permesso alla società di ritagliarsi una propria poltrona nel patto Car, lo stesso che poi ha apertamente manifestato la propria contrarietà alla proposta di Ca’ de Sass. Contrarietà che, almeno per quanto riguarda Cattolica e la Fondazione Banca del Monte di Lombardia, negli ultimi giorni non è più così ferma come in passato.

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