Vittoria di Trump alla Corte suprema sul bando per i cittadini di sei paesi islamici
di Marco Valsania
2' di lettura
La Corte Suprema americana dà una vittoria a Donald Trump sul “travel ban”: gli alti magistrati hanno dato un via libera temporaneo all’applicazione parziale del decreto che mette al bando i cittadini di sei paesi a maggioranza islamica ritenuti a rischio di terrorismo.
I giudici della massima autorità costituzionale statunitense hanno accettato di considerare uno dei casi più scottanti dei primi mesi della presidenza Trump e nel frattempo di sospendere il blocco di buona parte del cosiddetto travel ban deciso da due corti d’appello.
Il divieto verrà applicato nei confronti di tutti coloro che non hanno dimostrabili legami con gli Stati Uniti, vale a dire i visti potranno essere negati a chi non è mai stato prima negli Usa o non ha interessi di business o radici familiari nel Paese.
Non potrà invece essere applicato contro stranieri con una relazione «credibile» e “bona fide” - vale a dire comprovata, documenti alla mano - con «persone e enti» negli Stati Uniti, quali ad esempio un coniuge o altri familiari.
Il caso verrà dibattuto dalla Corte Suprema a partire da ottobre, con una decisione finale dunque ancora distante mesi. E che rappresenterà probabilmente un importante precedente sull’ampiezza dei poteri e delle prerogative presidenziali.
I tribunali d’appello avevano bocciato due ordini esecutivi di Trump definendoli discriminatori ai danni dei musulmani, ingiustificati e probabilmente incostituzionali. Nel farlo avevano citato le motivazioni pubbliche offerte dallo stesso presidente, che ha spesso adoperato una retorica anti-islamica. La Casa Bianca ha sostenuto che il divieto ha ragioni puramente di sicurezza nazionale e ricade nell’ambito dell’autorità del presidente.
I sei paesi al centro del divieto, per un periodo di 90 giorni, sono Siria, Libia, Iran, Sudan, Somalia e Yemen. L’ordine di Trump sospende interamente anche il programma per l’accettazione dei rifugiati, nonostante siano sottoposti a rigorosi esami che durano in media due anni prima del loro arrivo, per un periodo di 120 giorni. La provvisoria decisione di compromesso della Corte Suprema ha mostrato tutta la delicatezza delle vicenda e le divisioni che continua a provocare. Tre giudici ultra-conservatori hanno dissentito, Clarence Thomas, Samuel Alito e il neorrivato nominato da Trump, Neil Gorsuch: ritenevano che il divieto dovesse entrare subito in vigore nella sua interezza. Nella loro presa di posizione sostengono che l’onere per le autorità di decidere sulle ragioni di ingresso è eccessivo e che l’incertezza darà vita a ondate di ricorsi legali.
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