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Vivienne Westwood, l’eredità di un’autentica rivoluzionaria

di Angelo Flaccavento

(ANSA)

2' di lettura

Nella moda, sempre facile alle iperboli, le rivoluzioni e i rivoluzionari, in genere auto-investiti del titolo, non si contano, ma i sediziosi veri sono un drappello sparuto. Vivienne Westwood, dame Vivienne, scomparsa ieri all'età di ottantuno anni, appartiene al novero: ha rivoluzionato il modo in cui si guarda al vestire, anche di coloro che nemmeno sanno chi lei sia o cosa abbia fatto.

Ha immaginato l'apparenza della più duratura delle subculture - il punk - per poi affondare lo sguardo e le mani nella storia per risignificare l'oggi. Il suo modo fintamente casuale di drappeggiare e lavorare con i volumi, invero sapientissimo, ha fatto scuola: è un segno distintivo e riconoscibile esattamente come il tweed con i bordi a contrasto di Gabrielle Chanel e le bandelle elastiche di Azzedine Alaïa. Con fiera e tenace indipendenza, Vivienne Westwood ha cambiato il corso della moda: non comunicando ma facendo.

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Inizialmente sodale del cinico e geniale Malcolm Mclaren, impresario musicale dalle ascendenze situazioniste, ha saccheggiato i sex shop e i negozi di ferramenta, inventando un punk look fatto di cinghie, spille da balia e bondage sadomaso; poi, all'inizio del riflusso anni 80, i due hanno creato il new romantic, che tanto avrebbe ispirato Blitz Kids e Duran Duran, e che ha trovato nell'iconografia corsara della collezione Pirates (1982) la sua summa.

Ma dame Vivienne si è espressa al meglio quando si è messa in proprio e ha canalizzato la verve trasgressiva attraverso una rilettura potente del costume storico - dal Settecento alla Belle Epoque, con incursioni rinascimentali - stravolgendo una iconografia in apparenza conservatrice per farne veicolo di progresso e rottura. Prima sono stati i bustini e le mini crinoline con le scarpe a dondolo, poi le foglie di fico tra Watteau e Fragonard, infine ancora i pouf, i drappeggi, la grandeur, con una maestria nel taglio rara. Sul fondo, sempre, lo sberleffo, l'irriverenza, il gusto del gioco.

Nel 1989 Tatler la mise in copertina, travestita da Margaret Thatcher, con lo strillo “This woman was once a punk” (questa donna è stata una punk). In effetti la parabola di Vivienne Westwood, maestra per formazione, è stata alquanto paradigmatica: dal vetriolo del punk alle crinoline e alle bagatelle rococò ce ne corre. Ma se punk è essenzialmente un modo controcorrente di fare le cose, la tenacia di andare contromano con il proverbiale dito medio schiaffato in faccia a tutti, la signora è rimasta punk anche dopo il 1977.

Forse lo è stata ancora di più negli ultimi anni, quando ha lasciato al marito, Andreas Kronthaler, le redini, per concentrarsi sull'attivismo, predicando la riduzione dei consumi, l'attenzione all'ambiente, scagliandosi contro il mercato delle armi e l'impatto che esso ha su tutto il pianeta. In tutta la sua carriera, Vivienne Westwood ha dimostrato che il sapere è la vera trasgressione, che conoscere è il solo modo per ribellarsi. Lo è in modo particolare oggi che storia e cultura sono vituperate dalla cecità ignorante dell'ideologia.

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